L’avvento della nuova generazione ha visto protagonista una Capcom che, se da un lato ci ha saputo deliziare con l’eccellente Resident Evil 5 e, ancor prima, con l’innovativo Dead Rising , dall’altro ha provocato, più volte, dubbi e perplessità tra i numerosi sostenitori della storica software house giapponese. A contrassegnare un andamento incostante sul fronte qualitativo ritroviamo, peraltro, progetti alquanto ambiziosi, tra cui l’ultimo rifacimento di Bionic Commando o il controverso Lost Planet , entrambi croce e delizia per gli amanti degli action in terza persona. Ricorrere ad alcuni espedienti col solo scopo di rendere i propri titoli ostici per natura, facendo della macchinosità del gameplay il proprio marchio di fabbrica, non ha sortito gli effetti desiderati, generando, al contrario, filoni di pensiero e metri di giudizio diametralmente opposti. Ma l’ultima fatica targata Airtight Games, Dark Void appunto, sembra voler smentire questa particolare tendenza e riportare in auge un genere che, recentemente, è stato vittima di un appiattimento generale. Scopriamo, allora, se la fiducia riposta da Capcom nei confronti di Airtight sia stata o meno ripagata.
Il Vuoto E’ un afoso agosto datato 1938: Will Grey, giovane pilota d’aerei, e la sua collega ricercatrice Ava, stanno sorvolando il Triangolo delle Bermuda a bordo di un cargo aereo. Tutto sembra filare liscio quando, ad un tratto, delle misteriose “macchie” volanti oscurano il cielo e assaltano il cargo, costringendo Will ad un atterraggio d’emergenza su un’isola sconosciuta ed apparentemente deserta, salvo poi scoprire l’esatto contrario. Ben presto, nei panni di Mr. Grey, faremo la conoscenza delle Sentinelle, intuendo così che sull’isola vige una legge completamente estranea a quella degli esseri umani. Le Sentinelle, infatti, vengono viste come le divinità del “luogo” e, a venerarle, è una piccola tribù di indigeni completamente ignara del suo destino. In realtà, questa razza aliena, ostile al genere umano, già tempo addietro aveva invaso l’isola per poi essere rinchiusa, per mano della resistenza umana, all’interno di una dimensione parallela nota come “Il Vuoto”. Il desiderio di vendetta rappresenta, dunque, una delle cause principali che hanno spinto le Sentinelle ad occupare nuovamente l’isola. Nel frattempo però, un ambizioso scienziato di nome Nikola Tesla, il genio responsabile degli studi sui fenomeni elettromagnetici, è riuscito a sfruttare parte della tecnologia aliena e costruire così uno strumento tanto potente quanto versatile: il jet pack. E’ proprio l’incontro con lo scienziato a dare una svolta alle vicende: con addosso un modello perfettamente funzionante di jet pack, il nostro compito sarà quello di esplorare, anzi sorvolare, da cima a fondo l’isola e scoprire i segreti che si celano al suo interno, come un vaso di Pandora che man mano ci svela i minacciosi intenti dell’invasione aliena. L’intreccio narrativo di Dark Void è tanto semplice quanto lineare; da questo punto di vista il gioco non brilla certo per originalità e le esplicite somiglianze con produzioni maggiori come Mass Effect e Uncharted , rendono la regia e la caratterizzazione dei personaggi alquanto anonime.
Nel blu dipinto di blu Dark Void si presenta al primo impatto come il più classico degli sparatutto action in terza persona. Il gioco propone un comune sistema di controllo ed un altrettanto collaudato sistema di copertura in pieno stile Gears of War, ereditandone inoltre la stessa filosofia, compresa quella del “blind-fire”, ossia del fuoco alla cieca. Non mancheranno inoltre i quick time event, riconducibili spesso agli scontri con i boss di fine livello o a specifiche azioni di routine, come combo speciali o prove di resistenza durante una scalata. Ma a conferire al gioco una piccola variante ci pensa il jet pack, il cui uso sintetizza appieno la natura “verticale” del gameplay. Dark Void si gioca principalmente a partire dal basso verso l’alto: il jet pack, oltre che a muoverci lungo linee orizzontali durante una semplice levitazione, ci consente di sfruttare sistemi di copertura altrimenti irraggiungibili. Questo tipo di approccio, che dovrebbe garantire una certa originalità, denota tuttavia i forti limiti di cui invece soffre Dark Void: la linearità. Non è solo la trama, ma anche la struttura generale ad essere evidentemente poco incisiva; è vero, col jet pack saremo in grado di spostarci “liberamente”, ma solo ed esclusivamente entro lo spazio consentito dalla mappa, e quindi per vie spesso obbligatorie o secondo binari predefiniti. Nel corso di uno scontro a fuoco, ad esempio, sfruttando il sistema di copertura verticale, possiamo sì saltare da una piattaforma all’altra, ma solo seguendo la direzione concessa, lasciando molto a desiderare sul fattore innovazione. La mancata libertà di movimento viene per fortuna aggirata da fasi in volo vere e proprie, durante le quali saremo intenti a superare una data missione, magari ingaggiando, nel frattempo, frenetici scontri aerei con le astronavi aliene. Nonostante i difetti del caso, quindi, la presenza del jet pack consente al giocatore di adottare un approccio insolito rispetto ai canoni del genere: la duplice funzione di questo strumento di volo ci pone di fronte a missioni altrimenti impensabili, mantenendo inalterata la varietà delle stesse. In linea di massima, Dark Void riesce a fondere, in maniera atipica, due generi che si completano a vicenda, sperimentando così un gameplay non eccelso, ma comunque funzionale e discretamente implementato. Altra componente che si rifà stavolta a titoli specifici come Mass Effect, oltre la netta somiglianza delle Sentinelle con gli androidi del capolavoro BioWare, riguarda il sistema di potenziamento del protagonista; al termine di ogni capitolo, infatti, avremo la possibilità di potenziare le armi a nostra disposizione utilizzando le essenze rilasciate dai nemici una volta abbattuti. L’arsenale bellico, purtroppo, non spicca tra la massa, vantando un numero davvero esiguo di armi, sia terrestri che aliene, né tantomeno una valida diversificazione tra le due tecnologie. L’aspetto dei potenziamenti, in ugual misura, non è stato approfondito in maniera tale da renderlo una componente fondamentale del gioco, limitandolo, a conti fatti, a sole quattro caratteristiche principali per arma. Per l’ottenimento di abilità extra temporanee o il raggiungimento di determinati obiettivi, invece, sarà necessario scovare le essenze speciali, riconoscibili per via del colore diverso da quello delle essenze comuni, o i classici item nascosti, sparsi casualmente su tutta l’isola.
In sostanza, Dark Void soffre di doppia personalità: quella buona, rappresentata dalle fasi in volo mediante jet pack, e quella cattiva, attribuibile inevitabilmente alla componente prettamente action. Le fasi esplorative via terra, oltre ad essere ripetitive, rasentano lo zero sul fronte originalità, così come gli scontri a fuoco con le Sentinelle non propongono alcun tipo di innovazione se non un riciclato sistema di copertura, che solo quello “verticale” può in qualche modo rinvigorire. Le stesse ambientazioni di gioco non mostrano nulla di sbalorditivo o comunque ispirato dal punto di vista artistico: le ultime produzioni Capcom sembrano provenire dalla medesima fonte ispiratrice. La longevità, invece, si assesta su buoni livelli: la modalità single player, l’unica presente nel gioco, vi terrà impegnati dalle otto alle dieci ore, con le varianti del caso in base alla difficoltà scelta (casuale, normale o difficile). Data la media dei titoli di nuova generazione e nonostante il fattore rigiocabilità si assesti su bassissimi livelli, Dark Void potrebbe soddisfarvi in maniera adeguata al prezzo del biglietto.
Tecniche oscure
Dal punto di vista tecnico, il titolo Airtight mostra lacune non indifferenti. Il comparto grafico, supportato interamente dall’ormai standardizzato Unreal Engine 3, visivamente raggiunge la piena sufficienza, ma cade miseramente sul fronte stabilità: i cali di frame rate sono fin troppo invadenti e penalizzano, in particolar modo, le fasi in “flight – mode”, durante le quali è richiesta spesso una certa precisione di manovra, soprattutto quando si è procinto di agganciare un nemico e far fuoco. Data comunque la qualità generale del titolo, queste gravi mancanze sono sicuramente indice di scarsa e frettolosa ottimizzazione in fase di completamento. I modelli poligonali dei personaggi risultano discreti, mentre le animazioni appaiono spesso legnose così come le espressioni facciali, davvero poco complici di un doppiaggio che, al contrario, svolge bene il suo ruolo, per quanto sia doveroso segnalare l’assenza della lingua italiana nel parlato a favore di quella originale, accompagnata comunque dai sottotitoli. Oltre al doppiaggio, l’apprezzamento va anche nei confronti della colonna sonora che anima Dark Void: il compositore delle tracce è nientemeno che Bear McCreary, artefice in passato della colonna sonora della nota serie televisiva Battlestar Galactica.
Concludendo…
Se l’intento di Airtight Games era quello di rinnovare un genere proponendo un sistema di gioco completamente nuovo, coadiuvato sostanzialmente dalla presenza di un jet pack come perno centrale del gameplay, possiamo dire che l’obiettivo è stato raggiunto a metà. Dark Void è un titolo dal duplice volto: valido nelle sessioni in volo e decisamente anonimo, oltre che ripetitivo, in quelle standard, dove la componente “sparatutto” in terza persona prende il sopravvento e fa suoi tutti i canoni del genere, estendendo al solo sistema di copertura un approccio “verticale”, limitato comunque dal massiccia linearità del gioco. Un titolo consigliato principalmente a chi cerca una discreta alternativa ai più classici action in terza persona attualmente in commercio.