Ridefinire il concetto di JRPG è difficile, ma non impossibile. Ne è la prova Dragon’s Dogma che getta nel calderone tutto ciò che di buono i giochi di ruolo con l’enfasi sul gameplay action hanno propinato negli ultimi anni. Eppure Dragon’s Dogma è unico, nel bene e nel male. C’è un vasto mondo completamente esplorabile, infarcito di elementi fantasy abbastanza stereotipati. E come non assecondare la voglia di esplorare ogni foresta, caverna e anfratto del regno di Gransys, che aumenta mano a mano che si riesce ad arrivare incolumi a destinazione? Era presente anche in Skyrim. C’è un apocalittico drago rosso che incenerisce villaggi e si diletta a strappare il cuore pulsante dal petto degli abitanti, come nel caso del prescelto dal giocatore, l’Arisen. Ma un incipit narrativo così scialbo e piatto si era già visto anche nel film Dragonheart .
L’evoluzione dei JRPG passa per gli Action
Cliché fantasy a parte, Dragon’s Dogma piace al giocatore non appena egli si ritrova a fare i conti con la possibilità concreta di uno scontro con una gigantesca fiera (il bestiario rivela infatti una spiccata svolta verso la mitologia greca, probabilmente nel tentativo di avvicinarsi ai gusti di una base d’utenza occidentale), potendo così sperimentare il sistema di combattimento che riesce a fondere appieno le meccaniche di gioco presenti in Monster Hunter e Devil May Cry. Oltre ai semplici attacchi deboli e forti, è possibile effettuare una serie di abilità speciali a seconda dell’arma principale e secondaria della classe di appartenza. Come se non bastasse, si tratta di due tipologie d’attacco speciali liberamente allocabili e potenziabili, previo passaggio di livello e acquisizione di appositi punti d’esperienza e abilità. Perché in Dragon’s Dogma le variabili numeriche, sempre visibili al cambio di equipaggiamento, sono parzialmente offuscate in favore di un sistema di progressione maggiormente orientato all’acquisizione di nuove mosse. È sempre appagante controllare l’Arisen in battaglia con la stessa naturalezza e movenza di un novello Dante, sebbene non sia possibile inanellare combo (come nel gioco di Capcom citato in precedenza), mentre si scaglia in aria il nemico per poi picchiarlo mentre è inerme oppure scalare un nemico pantagruelico alla ricerca di punti deboli sui quali infierire con affondi devastanti, reminiscenza del gameplay di Shadow of the Colossus in grado di conferire fisicità agli scontri. Le Vocazioni (classi) più avanzate a disposizione del giocatore permettono di potenziare ulteriormente la categoria d’appartenenza oppure si focalizzano sulla flessibilità, in un connubio di caratteristiche antitetiche (si pensi al Paladino in grado di sfruttare gli attacchi fisici della mazza e quelli magici dello scudo). Se non fosse per la mancanza di una meccanica d’aggancio automatico dei bersagli, il sistema di combattimento di Dragon’s Dogma avrebbe di certo raggiunto l’apice della perfezione.
L’unione fa la forza
L’aspetto più interessante e innovativo di Dragon’s Dogma risiede nell’utilizzo delle Pedine, che hanno un ruolo predominante all’interno del sistema di combattimento e trasformano il gioco in un curioso esperimento “social”. A metà strada tra lo scambio di Pokémon e una modalità multiplayer asincrona alla Dark Souls, basata sulla personalità degli altri giocatori. I Mirmidoni (l’appellativo comune utilizzato dagli abitanti del regno di Gransys) accompagnano e servono con fedeltà assoluta l’Arisen. Il giocatore diviene così il proprietario di una Pedina principale, liberamente personalizzabile allo stesso modo del proprio alter-ego digitale, e di altre due secondarie. Ogni volta che si raggiungono alcune aree predefinite della mappa oppure si visita una locanda per ripristinare la salute ed effettuare istantaneamente il passaggio dal giorno alla notte (e viceversa, che influenza anche la fauna locale del territorio) lo stato della Pedina principale viene inviata nei server di Capcom (portandosi appresso il proprio bagaglio di esperienza, abilità ed equipaggiamento) insieme alle migliaia di personaggi generati dagli altri utenti e può essere scaricata da quest’ultimi. In quest’ultimo caso riceverà una valutazione del proprio operato, eventualmente accompagnata da un oggetto in regalo per il suo proprietario come ricompensa per aver assistito gli altri giocatori nelle proprie avventure. I Mirmidoni secondari invece non possono incrementare il proprio livello, costringendo il giocatore ad un frequente cambio di metà del party e favorendo l’economia globale del mercato delle Pedine. A differenza dei membri tradizionali di altri GdR, le Pedine apprendono: se hanno già completato una particolare quest, visitato uno specifico luogo oppure ucciso una determinata bestia nel mondo alternativo di un altro giocatore, sono in grado di fornire suggerimenti all’Arisen e persino svolgere il ruolo di guida all’interno di una zona, esattamente come in una sessione cooperativa multiplayer. Purtroppo le dinamiche sociali delle Pedine sono inutilmente appesantite dal continuo ciarlare di quest’ultime generando un flusso di commenti perlopiù inutili e che, ripetendosi anche dopo aver attraversato aree già visitate in precedenza, rompe immediatamente la sospensione d’incredulità: a poco serve la possibilità di disattivare il chiacchiericcio attraverso le opzioni di gioco (o nel caso della Pedina principale, istruirla a tenere la bocca chiusa).
2012, l’anno del Drago
L’alchimia di Dragon’s Dogma non è però priva di qualche impurità, in particolare sul lato tecnico del motore grafico, a cominciare dalla presenza delle vistose bande nere ai bordi dello schermo (che non si vedevano dai tempi delle conversioni mal realizzate per PlayStation 2 ) passando per antiestetici pop-up di personaggi ed oggetti sino a giungere ad inspiegabili cali di frame rate. Però alla fine si riesce a passare sopra ai difetti difetti tecnici e concettuali sopra menzionati, perché Dragon’s Dogma è un JRPG abbastanza ambizioso da superarli e, insieme all’amara pillola, si manda giù tanto dolce miele.