Il videogioco di oggi non ci abitua più alla difficoltà: ormai in ogni angolo c’è un checkpoint, un filo luminoso che ci guida, una tecno-Arianna pronta a farci uscire dal labirinto senza sforzo e alla nostra prima richiesta. L’ostacolo sembra quasi un alone residuo degli anni ’80 o ’90 e sembra che molti sviluppatori cerchino di cancellarlo come si fa come una macchia di sporco? Questo, spesso e volentieri, non vale per i creatori di giochi Indie e grandi titoli come Super Meat Boy (che non citiamo a caso) ce l’hanno ampliamente dimostrato. Altrettanto vero, però, è che non tutti sono riusciti sempre ad avere il pieno controllo sul fattore ?difficoltà’, trasformandola troppo spesso in frustrazione: a volte è colpa del level design, altre volte dei controlli imprecisi? Altre volte, del voler rendere complessa una formula che vive di piena semplicità. They Bleed Pixels cade proprio in questa categoria: cerchiamo di capirne insieme le ragioni.
Un’accademia sinistra
Una ragazzina si ritrova, scortata da un’auto, di fronte al cancello dell’Accademia per giovani ragazze problematiche di Lafcadio. Non sappiamo le ragioni di questo suo trasferimento, purtroppo, ma ci bsati sapere che, nella grande biblioteca della magione, la giovane scopre un libro con stampata, sulla copertina, una sorta di lancia-artiglio? Un libro che sembra perdere sangue? Incuriosita, finisce per toccarlo, aprirlo, leggerlo? Scatenando terribili incubi dove, con la pelle color viola e tenaglie insanguinate al posto delle mani, dovrà fuggire da luoghi pieni di mostri e insidie per potersi risvegliare! Le premesse e le varie fasi della (forse un po’ sterile) trama sono raccontare da alcune ottime scene in uno stile insieme fumettoso e inquietante? Quale sarà il segreto di quel libro? Cosa sono quegli incubi pieni di demoni e creature mostruose?
Semplice + Complesso = Mediocre mescolanza
L’idea dietro a They Bleed Pixels è molto semplice: si tratta di un platform bidimensionale dove bisogna arrivare da un punto A a un punto B evitando trappole e spine e sconfiggendo mostri. Tutto qui. All’apparenza può suonare come una struttura estremamente semplice, specie grazie all’ottima gestione dei controlli per quanto riguarda i salti, gli atterraggi e le scalate sui muretti, con una precisione granitica estremamente anni ’80. Il tutto va a complicarsi quando i mostri iniziano ad infestare i percorsi e diventa necessario eliminarli tramite un sistema di combo capace, se utilizzato con la dovuta cura, di farci accumulare diversi punti e di incrementare il nostro moltiplicatore fino a vette piuttosto alte; i comandi iniziali sono semplici, con un tasto delegato al salto e uno delegato all’attacco: i problemi veri nascono quando ci si accorge che per realizzare un totale di circa dieci mosse diverse sono stati utilizzati soltanto questi due tasti! Restando fermi e premendo velocemente l’attacco si effettua un calcio in avanti, mentre una pressione prolungata permette di eseguire un calcio verso l’alto; premendo in avanti e il tasto di attacco è possibile attaccare rapidamente con le proprie lame, ma se premendo in avanti si effettua una minima rincorsa ecco che l’attacco semplice diventa un lunghissimo scatto; la pressione del tasto direzionale alto e dell’attacco permette l’esecuzione di un rilancio da giocoliere mentre i nemici in aria possono essere raggiunti e attaccati rapidamente al volo per poi essere sbattuti contro muri, punte o letali seghe circolari. Le combinazioni, che non finiscono qui, sono parecchie ma la loro realizzazione è tutto tranne che elementare, specie nelle situazioni più concitate o contro alcuni particolari nemici: capita spesso e volentieri che alcuni nemici attacchino contemporaneamente, pur richiedendo approcci di battaglia completametne differenti, e sia quindi impossibile evitare di perdere uno o due dei tre cuori che rappresentano la nostra energia nel tentativo di abbatterli o eluderli.
In nostro soccorso in questo senso giunge forse la meccanica di gioco più interessante: grazie ai nemici eliminati e ad alcune sfere rosse reperibili nel percorso, il giocatore può caricare una lunga barra a forma di lancia e decidere di spendere il suo contenuto per piazzare un checkpoint nel livello, un punto di partenza dal quale ricominciare ogni volta che si perde una vita. Si tratta di un’interessantissima scelta di game design che permette non solo di sfruttare le potenzialità della protagonista ma anche di ?giocare’ con il level design e sfruttarne debolezze e punti di forza per ottenere un risultato sempre migliore e scalare le classifiche online di rapidità e punteggio. Il level design stesso, tuttavia, spesso e volentieri pecca di una certa arroganza, portando il giocatore a una serie di sconfitte relativamente ingiuste, dovute a salti ciechi e nemici piazzati in modo davvero scorretto: è una festa del ?trial and error’, un insieme di tentativi che porta a un completamento del livello più per esasperazione che per vero senso di riuscita. Tutto il gioco è affrontabile sia con un gamepad (con il buon augurio di trovarne uno compatibile) sia con la tastiera: è caldamente consigliabile la prima a scelta, anche solo per evitare che il sistema di combattimento si riveli ancora più impreciso.
Scheggie di cultura letteraria, in qua e in là
Tra un livello e l’altro, il giocatore si troverà di fronte alcune citazioni da testi letterari dell’orrore, presi da autori famosi e opere ben conosciute: tutto They Bleed Pixels, infatti, cerca di ruotare attorno a un universo inquietante ispirato alle opere di H. P. Lovecraft, ma sembra faticare anche in questo obiettivo. Certo, il grosso Chtulu presente nella schermata del titolo dovrebbe ricordarcelo ogni volta e i vari nomi delle combo stesse, tratti direttametne dalle opere del noto autore, dovrebbero essere di costante richiamo, ma mentre si salta da una piattaforma nera all’altra, circondati da mostri strani (dei quali solo alcuni ricordano il malvagio demone tentacolato) e da trappole letali ma così comuni, così banali, si finisce per concentrarsi troppo sul gameplay, insieme definito e scomodo, ricordandoci che esiste una trama solo tra un incubo e l’altro, quando è una brevissima cutscene a risvegliarci e a dirci ?Ehi, ho anche una storia da raccontare!’. Per fortuna, il gioco riesce a sfoggiare una realizzazione stilistica davvero soddisfacente: tutto merito degli sfondi trasognati e meravigliosi da vedere, dei mostri, delle animazioni, del sangue pixelloso che scorre a fiotti a ogni ferita inferta? Il tutto unito a una colonna sonora dinamica e ad effetti sonori irrealistici e sovraumani. I nostri risultati in battaglia saranno ricompensati da alcune medaglie in grado di attivare livelli aggiuntivi (con stili completamente diversi e, se possibile, ancora più complessi) e una meravigliosa galleria di immagini e bozzetti: difficilmente si può trovare, nei titoli di oggi, una galleria di elementi sbloccabili composta da schizzi di così alta caratura artistica.
Conclusioni
They Bleed Pixels, è quello che i nostri nemici fanno: sanguinano pixel, ovunque, colorando di rosso tutto quello che li circonda. E a noi cosa sanguina? Sanguinano le mani, sulle nostre scomode tastiere; sanguina la mente, frustrata da un obiettivo impossibile da realizzare; sanguina la ragione, incapace di comprendere come dietro a tutto questo caos scarlatto ci possa essere ancora qualche tratto che affascina, per il quale valga la pena di continuare. They Bleed Pixels prova a imporsi ma sembra essere arrivato troppo tardi: ha recuperato una formula funzionante e l’ha modificata quanto basta per renderla leggermente più profonda. Ma quanto la profondità si mischia con una complessità dall’equilibrio rosicato allora l’insieme barcolla, rischiando di crollare ma resistendo poggiandosi ad alcuni pilastri che, per quanto gracili, hanno ancora voglia di reggere e di ammaliare. Voltare lo sguardo o tentare una sfida ardua, a tratti ingiusta? A voi la decisione, basta che stiate attenti: lanciare con rabbia un gamepad è un conto, lanciare conto un muro una tastiera (specie se quella integrata di un portatile) è tutta un’altra storia.