DA BREAKING BAD…
Dal genio di Vince Gilligan nasce nel 2008 Breaking Bad, la serie capolavoro trasmessa sugli schermi statunitensi della AMC. La storia è quella di Walter White che, deciso a dare una svolta epocale alla sua vita, si mette in società con Jesse Pinkman , suo ex studente e spacciatore. I due cominciano a cucinare la Crystal Meth più pura nella zona, grazie alle conoscenze e alla maestria di Walter. La strada, almeno all’inizio, è decisamente in salita. Criminali senza scrupoli si frappongono tra i due protagonisti e il successo. Sarà compito della versatilità di Jesse e del genio calcolatore di Walt riuscire a districarsi tra bugie, assassinii, inghippi legali e cani sguinzagliati al loro inseguimento.
Albuquerque, New Mexico. Miscela esplosiva, con personaggi scoppiettanti. Una sensazione che Vince Gilligan ci regala subito, fin dalle prime puntate. Fin da quando vediamo un signore di mezza età in mutande in pieno deserto, con una pistola puntata all’orizzonte. Perché Gilligan ci sa fare con i flashforward, e ci annuncia che stiamo per assistere a uno dei più grandi capolavori mai mandati in onda sugli schermi dei nostri televisori. Si parla di un chimico. E la prima cosa che ci viene in mente, fin da quando siamo bambini, è che le cose fighe della chimica sono le esplosioni. Un chimico, il signor White, dalla situazione familiare disastrata, con un figlio disabile, una moglie incinta di una bambina inaspettata e una condizione economica precaria. La miscela esplosiva non è ancora pronta ma quasi, perché a Walter White sta per essere diagnosticato un cancro terminale ai polmoni. La reazione che si sta preparando ci delizia, ci stuzzica e ci esalta. A Walter White servono soldi. Soldi per la sua cura, ma soprattutto per la sua famiglia. Il mercato della droga, per lui che è un chimico provetto, decisamente troppo qualificato per lavorare come insegnate in un liceo, gli sembra l’alternativa migliore. Ma ancora non ci siamo. In chimica ci sono i catalizzatori: si tratta di elementi che hanno la funzione di accelerare la reazione voluta. Un cognato che lavora nella DEA (il corpo speciale americano antidroga), per esempio. Centrifughiamo il tutto con criminali messicani spietati e un giovane spacciatore scapestrato, ed ecco una delle serie più premiate ed apprezzate da telespettatori e dalla critica.
“Pronuncia il mio nome” “Heisenberg“. Così si fa chiamare sul lavoro. Per chi non abbia reminiscenze di fisica, si tratta dello scienziato a cui si deve il principio di indeterminazione, e Walter White è proprio così: non riusciamo a trovare un modo per descriverlo con una parola. Di scene adrenaliniche ce ne regala tante. Ma la cosa che più ci sconvolge è il suo cambiamento. Una serie di travagliate situazioni lo portano a diventare uno dei più grandi bugiardi di tutti i tempi, uno spietato affarista affamato di denaro e, talvolta, un killer senza scrupoli. È finita l’era dell’eroe senza macchia e senza paura. L’antieroe affascina molto di più. Mano mano che andiamo avanti, ci accorgiamo che la morale di Walt subisce colpi sempre più duri. L’operato congiunto di Bryan Cranston e Vince Gilligan risulta eccitante. Sanno far amare, comprendere, commiserare e a volte anche detestare un personaggio. Nonostante tutte le azioni di Walter White, ci troveremo dalla sua parte fino alla fine. Non c’è bisogno che Walt ci intimi di ricordarci il suo nome. Lo avremmo fatto comunque.
…A GODZILLA
Spostiamoci sull’altro versante. Lo sappiamo tutti, fare un remake non è mai una cosa semplice, specie di un film che ha fatto tremare milioni di casse toraciche in preda alla tachicardia. D’altra parte, però, bisogna tener conto del fatto che Gareth Edwards, gettando uno sguardo indietro all’ultimo remake di Godzilla – quello del ’98, regia di Roland Emmerich – ha tutte le sue ragioni per gonfiare il petto. L’ultimo Godzilla era stato uno sfacelo pietoso. Di nuovo, le speranze sono cadute come un piccolo edificio sotto i piedi del mostro. Certo, le idee buone ci sono. La maggiore importanza data all’uomo (solo all’inizio), ad esempio. La prima ora di film, tutto sommato, non delude. Il difficile, quando si tratta di Godzilla, è parlare della gente, dell’umanità vittima di catastrofi inspiegabili, e non del mostro. Edwards ha fatto un po’ e un po’, cavandosela decentemente, secondo il giudizio della critica. Ma certe cose proprio non reggono. Tralasciamo la discutibile storia d’amore tra i due zanzaroni (i M.U.T.O., i mostri antagonisti di Godzilla nel film) e lo scienziato giapponese che si diverte sadicamente a veder distruggere le città, e concentriamoci su quello che sembra essere il protagonista umano della storia, il tenente Ford Brody, figlio del “personaggio” (le virgolette non sono casuali) interpretato da Bryan Cranston. Ford Brody vince, ma non convince. È il classico eroe senza macchia (anche dopo l’esplosione di un ordigno nucleare – sì, nucleare – a pochi metri da lui) e senza paura (non fa una grinza neanche quando si trova praticamente dentro le fauci degli zanzaroni giganti). I suoi valori sono la patria e la famiglia. Scontato. Un Enea dei tempi moderni che nell’aspetto e nei comportamenti ci ricorda un po’ un Captain America tarocco. Se il suo personaggio non regge, quello di suo padre ha violentato il Bryan Cranston che ricordavamo.
Una faccia stupita, a bocca aperta. Come la nostra. Janjira, Giappone. Joe Brody è uno scienziato americano che lavora con la moglie in una centrale nucleare. Vive in Giappone con la sua famiglia. Ci siamo, dunque. Il momento del confronto è finalmente (?) arrivato. Due scienziati, lo stesso attore. Due padri di famiglia. Due uomini che sanno cosa sia la sofferenza, perché Joe Brody si vede morire la moglie davanti agli occhi. È lui quello costretto a sbarrarle la strada per impedire la catastrofe radioattiva. I paralleli che si possono fare sono tanti. E deludono tutti. Entrambe le storie cominciano con il compleanno del nostro personaggio. Entrambi i personaggi sono dediti al valore della famiglia, ma con approcci molto diversi. Se in Breaking Bad avevamo visto un Bryan Cranston a suo agio in ogni singola scena girata, in Godzilla fin dai primi attimi vediamo un attore impacciato nei panni di un personaggio, a dirla davvero tutta, assolutamente inutile. Il salto temporale all’inizio del film è un’idea affascinante, che purtroppo non viene portata avanti in seguito. Al tempo stesso dobbiamo anche scagliare qualche pietra contro i truccatori e i costumisti. Quindici anni dopo Joe Brody è tale e quale a come era nelle scene iniziali e, mentre suo figlio cresce diventando un belloccio in divisa dalle spalle larghe, l’unico segno di invecchiamento di Joe sta nei capelli un po’ arruffati e in una barbetta appena appena incolta. Sensazionale. Un pizzico del Cranston che ci ricordavamo è presente, ma rimane sullo schermo troppo poco tempo per poterne apprezzare le qualità. Ci ha colpito positivamente il Joe Brody allucinato, visionario, quasi folle, che si presenta agli occhi del figlio 15 anni dopo la catastrofe. È un uomo tormentato dai sensi di colpa, deciso a scoprire la verità, sebbene sia ritenuto un pazzo da chiunque, suo figlio in primis. Ha una dimensione psicologica, ha la sua profondità? Ma cosa fa l’intelligente regia quando vede che finalmente il personaggio sta assumendo una sua nicchia d’importanza? Ce lo toglie dallo schermo, trasformandolo in una comparsa inutile (avrebbero fatto meglio ad annunciare l’apparizione di Cranston come cameo, se proprio volevano fargli guadagnare due spiccioli). Deludente. Per il resto del film Joe Brody verrà menzionato solo un paio di volte e (perdonatemi il piccolo spoiler, ma vi devo dare la dimensione dell’inutilità del personaggio) suo figlio Ford non riterrà opportuno neanche sprecare qualche lacrima quando lo vedrà chiuso in un sacco. Sconcerto a vagonate. Noi qualche lacrima l’avevamo versata eccome, quando avevamo dato l’addio al grande personaggio che ci aveva estasiati in Breaking Bad.
Quindi, per tirare le somme, cosa ci fa un attore eccellente in un film mediocre?
Muore, ecco cosa fa.