Il futuro è già scritto… male
Nel caso siate assidui lettori di quelle lunghe menate a base di chiacchiericcio largamente autoreferenziale che faccio passare per recensioni, sapete già quello che vi attende. Se avete pensato “no, non un’altra introduzione carica di inutili dissertazioni da osteria”, bravi, avete vinto una scimmietta di pezza. E quindi andiamo di elucubrazioni arteriosclerotiche.
Dopo aver avvistato nel cast di Quantum Break l’attore Lance Reddick, in tutta la sua calva magnificenza, il mio cervello malmesso non ha potuto fare a meno di operare un’associazione tra l’opera ultima di Remedy e il serial di J.J. Abrams Fringe. Andiamo gente, tecnologie da “scienza di confine”, viaggi nel tempo, scienziati pazzi, cospirazioni corporative, antagonisti carismatici e un protagonista che, seppur brillante, capisce molto poco delle vicende che lo vedono direttamente coinvolto… non si accende anche a voi una lucina tra le orecchie? Con questo paragone marchiato a fuoco nel pensatoio, e un amore incondizionato per ogni materia narrativa che mi permetta, nel caso di contestazioni, di sparare un bel “ma tu non ragioni quadridimensionalmente”, mi sono lanciato nella gloria poligonale dell’ultima esclusiva Xbox One, con lo speranzomentro interno fisso su “cosa mai potrà andare storto”. Eh… un sacco di roba, in effetti. Ma andiamo con ordine.
Futuri già scritti e bianchetti quantici
Trattandosi di un titolo la cui fruibilità effettiva risulta strettamente legata al comparto narrativo, non vi offrirò valide ragioni per incendiare lo schermo del vostro PC in preda a una, senza dubbio ragionevole, crisi da spoiler, ma mi limiterò a fornirvi gli elementi base per capire di cosa diamine stiamo parlando. Stiamo parlando – diamine – delle vicende di Jack Joyce (Shawn “Uomo Ghiaccio” Ashmore), un uomo travolto da sconvolgimenti spaziotemporali di scala cosmica, la cui unica colpa e l’unico merito sono, di fatto, essere il fratello del geniale fisico William Joyce (Dominic “Meriadoc” Monaghan) da una parte, ed il migliore amico dell’altrettanto brillante Paul Serene (Aidan “Ditocorto” Gillen) dall’altra. Dopo un’introduzione vagamente pretestuosa, Jack si ritrova stracarico di superpoteri a vestire i panni di “ultima speranza dell’umanità”, in uno scontro senza quartiere con la Monarch Solutions, una tentacolare e potentissima compagnia spinta da motivazioni misteriose. Trattandosi di un gioco la cui narrazione poggia su diverse istanze temporali, seppur all’interno della stesso – apparentemente immodificabile – continuum, credo sia lecito aspettarsi una certa complessità strutturale, magari cadenzata da colpi di scena che, per via dell’abuso di una quarta dimensione (il tempo), risultino particolarmente incisivi e imprevedibili. Ora, non arrivo a dire che Quantum Break è privo di colpi di scena, ma l’avventura scorre senza mordente, quasi trascinandosi sui binari di una linearità legata a doppio filo a concetti chiave ripetuti allo sfinimento, che impedisce il pieno coinvolgimento del giocatore e, di conseguenza, riduce progressivamente l’interesse nelle vicende narrate. Il cardine narrativo, nonché concetto chiave della logica pseudoscientifica di Quantum Break, è che passato e futuro non possono essere cambiati, perché ogni azione in tal senso ha già, in qualche punto della storia, contribuito a forgiare le caratteristiche di quella specifica linea temporale. In soldoni, tutto quello che è successo e che succederà è già scritto, e noi, in quanto attori di questo teatrino cosmico, contribuiremo sempre e comunque alla stesura di questa immutabile realtà, a prescindere dalle nostre intenzioni. Si tratta, in effetti, di un’interessante variazione sul tema rispetto al classico “salva la cheerleader, salva il mondo” (ovvero “impedisci un determinato evento e la tua realtà cambierà di conseguenza”), slegata dal concetto – ormai prossimo al manierismo – di pluralità dimensionale. Peccato solo che il gioco abbia la tendenza, specialmente nelle battute finali, a contraddire vistosamente questo assioma, precedentemente fissato come immutabile, dando origine a “stonature” (inspiegate) che puzzano tanto di buco narrativo o, alternativamente, di omissione volontaria in vista di un seguito già promesso.
Quindi, riassumendo, un’ ottima l’idea di base vessata da un’esecuzione non proprio convincente.
Senza considerare, poi, che il protagonista Jack Joyce è il personaggio meno carismatico a calcare il palcoscenico di Quantum Break, non tanto a causa delle doti attoriali di Ashmore, quanto per il fallimento da parte di Remedy nel dotare il protagonista di una dimensione umana credibile e completa. Decisamente maggiore l’appeal del “cattivo” Paul Serene e del suo braccio destro Martin Hatch (Lance Reddick), sebbene le reali motivazioni di quest’ultimo non vengano mai realmente chiarite.
Quantum Break è un gran bel telefilm
Malgrado l’indiscutibile fascino della formula “pallottole & superpoteri”, va detto che Quantum Break non è certo il miglior esponente del suo genere. Questo non tanto perché le meccaniche del gioco siano intrinsecamente carenti, ma piuttosto a causa della pessima ritmica del titolo, caratterizzato da un marmoreo frazionamento tra le fasi di azione e di esplorazione: dieci minuti a sterminare nemici a colpi di sparaproiettili e deformazioni spaziotemporali (in sezioni “chiuse” tipo arena), quindi 20 minuti di esplorazione tra – banali – enigmi ambientali da risolvere a colpi di poteri e tonnellate di collezionabili da raccogliere. La totale, o quasi, disgiunzione tra queste sezioni cadenza il gioco in maniera non particolarmente piacevole. Infelice, poi, la scelta di legare il potenziamento delle abilità speciali in dotazione al protagonista alla raccolta delle masse quantiche sparse in giro per le ambientazioni, non sempre di facile reperimento. Si tratta di una meccanica che può funzionare egregiamente in titoli open world liberamente esplorabili, ma che, purtroppo, non si adatta bene a un’avventura su binari come Quantum Break dove, come si suol dire, “ogni lasciata è persa”. Specialmente perché il giocatore, nel tentativo di massimizzare il suo già notevole potenziale offensivo e scoprire ogni segreto del gioco, si ritroverà ad esplorare febbrilmente ogni angolo, colto da un estemporaneo ma comprensibilissimo disturbo ossessivo compulsivo. Come anticipato, questo erratico girovagare rallenta considerevolmente il ritmo del gameplay e finisce per influire negativamente sulla “presa” della narrativa di Quantum Break. Dall’altra parte dell’arcobaleno, le fasi di conflitto risultano gradevolmente frenetiche, con decine di nemici aggressivi e armati fino ai denti che non perderanno tempo in lunghi stalli a base di tatticismi e coperture, ma presseranno di continuo il giocatore, nel tentativo di freddare Jack prima che possa sfruttare i suoi numerosi talenti.
Il signor Joyce può contare su un sistema di copertura dinamica piuttosto solido, che permette al nostro protagonista di ripararsi automaticamente – con relativa scioltezza – dietro ad ogni tipo di barriera in grado di prevenire un trapasso anticipato. Il tutto – salvo occasionali impasse – funziona decisamente bene, sebbene avremmo gradito la possibilità di sparare “alla cieca” da dietro un riparo, senza essere costretti ad esporci ogni volta al fuoco nemico per prendere la mira. Le capacità di Jack gli permettono di alterare la matrice dello spaziotempo in diversi modi, tutti letalmente divertenti. Il nostri beniamino è in grado di bloccare gli avversari in bolle a tempo rallentato, accelerare il proprio “tempo relativo” in maniera da risultare iper veloce, innalzare barriere per proteggersi dai danni e ripristinare la salute, o generare fenomeni quantici localizzati dagli effetti esplosivi. A questo po’ po’ di superomismo spaziotemporale si affiancano meccaniche di gunplay basilari ma funzionali, sebbene platealmente inferiori a quelle legate ai poteri del protagonista. Ve ne accorgerete quando vi troverete ad affrontare nemici in grado di annullare i vostri poteri: passerete da leone a chiwawa nel giro di qualche secondo.
Al termine di ognuno degli atti che compongono Quantum Break (cinque in totale), il gioco ci calerà per qualche istante nei panni della nostra vaticinante nemesi, ponendoci dinnanzi a un bivio decisionale in grado di alterare, almeno sulla carta, gli eventi futuri. L’immediata conseguenza delle scelte operate sarà visibile nel serial live action le cui puntate, di 24 minuti ciascuna, offrono alla storia un contesto di più ampio respiro, che coinvolge personaggi di spessore e avvicina il giocatore al – pur carente – intreccio narrativo. L’idea che le nostre scelte nel gioco abbiano conseguenze nel serial è sorprendentemente intrigante e, sebbene le variazioni – nel quadro complessivo – risultino perlopiù marginali, questa particolare alternanza costituisce la parte più interessante e riuscita dell’opera di Remedy. Questo sempre che abbiate una connessione sufficientemente robusta, onde evitare infinite pause di buffering, o spazio sull’hard disk sufficiente per i 75GB della serie completa.
Tecnicamente impressionante
Come potreste aver intuito dal titoletto sovrastante, Quantum Break sfoggia una quantità e una qualità di tecnologie grafiche veramente impressionante, senza precedenti su Xbox One. Sebbene il gioco abbia una risoluzione nativa a 720p, scalata dinamicamente a seconda delle situazioni, Remedy ha fatto un lavoro eccellente nel nascondere la cosa, grazie ad una brillante combinazione di effetti di post-processing e antialiasing. La qualità dell’illuminazione globale, unita alla migliore tecnologia di occlusione ambientale mai vista su console, e ad una resa dei materiali (con PBR) praticamente perfetta, offre terreno fertile per scorci genuinamente mozzafiato. Discorso simile per i modelli dei personaggi, forti di un processo di motion capturing accuratissimo, reso credibile da un’attenzione maniacale per particolari e difetti anatomici, vera chiave del realismo per quel che riguarda le versioni digitalizzate degli attori. Per muovere questo ambaradan mantenendo 30 fps stabili, i ragazzi di Remedy hanno dovuto risparmiare sulla risoluzione di ombre e luci volumetriche, decisamente sotto la media, elementi che, assieme a uno sporadico ritardo nel caricamento delle texture, rappresentano gli unici punti deboli di un comparto grafico, lo ripetiamo, eccellente. Parimenti grandioso il versante audio, specialmente per quel che riguarda gli effetti legati all’utilizzo dei poteri o alle deformazioni spaziotemporali che del gioco sono l’elemento trainante. Peccato solo per un doppiaggio italiano che non convince appieno, specialmente per quel che riguarda il protagonista, a volte tragicamente distante dall’essere credibile.
Concludendo…
Fatta eccezione per il comparto tecnico, Quantum Break non brilla veramente in nessuno dei suoi elementi costitutivi. Una trama sottotono e un gameplay buono, ma invalidato da una ritmica mal orchestrata, impediscono all’esclusiva Xbox One più attesa di questa stagione di spiccare, malgrado le indiscutibili unicità del titolo. A tal proposito, la scelta di intervallare gli atti del gioco con le puntate di un serial parzialmente interattivo rappresenta l’elemento più intrigante del lavoro di Remedy, forte di un cast di tutto rispetto. Tirando le somme, Quantum Break è un titolo che, ahimè, finisce col tradire il proprio incredibile potenziale, fallendo nel tentativo di elevarsi al rango di “system seller” per l’ammiraglia di Microsoft. Un vero peccato.