Quello che andiamo oggi a recensire è The Thin Silence, il primo progetto serio del duo indie australiano Two PM che, per loro stessa qualificazione, hanno scelto questo nome in quanto iniziano a sviluppare intorno alle 2 del pomeriggio di tutti i weekend. Continuate a leggere per conoscere i risultati dei loro sforzi pomeridiani …
A blank slate
Il gioco si apre con un temibile messaggio che ci informa che il gioco tratta temi di depressione e di suicidio – vi anticipiamo di non preoccuparvi dato che tutto sommato il è abbastanza sobrio e mai troppo crudo o violento – il messaggio è in realtà che gli sviluppatori sono partner di CheckPoint, un’organizzazione australiana che ha il nobile scopo di trattare i problemi mentali tramite i videogiochi.
La storia narrata è quella di Ezra Westmark, e la rivivremo tramite una sua personale introspezione degli avvenimenti per mezzo numerosi flashback e ricordi durante il corso dell’avventura.
In sintesi Thin Silence è un platform 2D con l’aggiunta di alcuni elementi puzzle, completamente realizzato con una gradevole “pixel graphics” e ricco di spunti di riflessione sul mondo odierno e sugli eventi che possono cambiare la nostra vita.
Si inizia in una specie di caverna, e ci vengono introdotte quasi subito le meccaniche che caratterizzano il gameplay: durante il nostro viaggio avremo modo di raccogliere alcuni oggetti che potranno essere combinati per ottenerne altri (per esempio da una scarpa e un gancio potrete ottenere le scarpe chiodate, da una corda e lo stesso gancio otterrete invece un rampino, etc.).
Questi oggetti che andremo a creare saranno necessari per superare gli ostacoli che ci si presenteranno davanti, dato che il gioco nonostante sia un platform è molto focalizzato sulla componente puzzle e non richiede molta destrezza di mano. I livelli sono divisi in stanze di dimensioni variabili, dove di volta in volta dovremo affrontare le asperità del terreno e sfruttarle a nostro vantaggio per riuscire a passare oltre. Potremo spingere e tirare enormi macigni, costruire ponti di corda, fare cadere tronchi per improvvisare ponti e più avanti anche interagire con computer che andranno opportunamente “hackerati” per potervi accedere tramite alcuni mini-game.
Se doveste rimanere bloccati (cosa non troppo rara dato che non è difficile per esempio spingere un masso dalla parte sbagliata facendolo cadere in un fosso senza possibilità di recupero) è presente un comodo tasto di “reset” che vi riporta all’ultimo checkpoint raggiunto per potere così ritentare.
Durante il nostro cammino avremo modo di innescare numerosi flashback che andranno a ricostruire la storia di Ezra, e potremo anche incontrare vari NPC che per lo più servono esclusivamente come contorno per dare una parvenza di vitalità al mondo di gioco; in generale l’interazione in entrambi i casi è assolutamente passiva e si limita al massimo a premere il relativo tasto per avviare il dialogo che spesso si risolve con poche sentenze da ambo le parti. Infine è possibile raccogliere alcuni collezionabili: numerosi documenti/note che arricchiscono ulteriormente la profondità della storia, e le pagine di un breve libro che parla più in generale della nostra civiltà e dei problemi del mondo anche citando famosi filosofi.
L’idea di poter costruire molti oggetti dalla combinazione di altri benchè interessante non è certamente una novità, ed in questo caso ne è stato stravolto il principio dato che il loro utilizzo è molto forzato: laddove in altri videogame per salire su una superficie arrampicabile potreste semplicemente premere la direzione “su”, qui invece dovrete ogni volta cercare tra gli oggetti gli scarponi chiodati ed utilizzarli, e alla lunga vi garantiamo che diventa davvero stressante, anche perché il menu di selezione oggetti è monodimensionale – tutti gli attrezzi sono in un’unica fila e dovrete spesso scrollare parecchio per cercare quello che vi serve.
All or nothing
Iniziamo col dire che il gioco ha alcuni problemi alla base che ne minano l’appetibilità – avremo modo di constatare immediatamente che per una scelta davvero sadica degli sviluppatori il nostro personaggio si muove alla velocità di un bradipo zoppo – per farvi capire solo per attraversare una intera schermata si impiegano quasi 25 secondi e dopo un po’ diventa davvero snervante; a questo aggiungete lo spiacevole inventario e i dialoghi che non possono essere saltati e il tutto sembra quasi concepito per minare fortemente la pazienza di chi gioca.
La grafica bidimensionale ha degli alti e bassi – a tratti sembra molto affrettata e a tratti invece è molto gradevole, ma non raggiunge mai livelli eccelsi.
Il gioco è completamente sviluppato in Adobe Air, e presenta alcuni problemi di performance dato che nonostante la grafica sia davvero essenziale in un paio di occasioni abbiamo notato dei cali di FPS anche su hardware in grado di reggere ben altri pesi.
Il comparto audio è composto da una serie di ispirate musiche di sottofondo che donano al gioco un’atmosfera a tratti triste e misteriosa, ma che in certi livelli più duraturi rischiano di stancare. Gli effetti sonori sono presenti anche se in numero ridotto, e forniscono un’esperienza un po’ poco coerente: mentre alcuni sono sintetizzati e degni della grafica 8 bit offerta dal gioco, altri sono invece campionati e più tendenti al realismo – forse sarebbe stata apprezzabile più chiarezza nella scelta.
Vale la pena di menzionare i minigiochi che sono attivati per attuare hacking sui terminali: sono estremamente elementari e gradevoli (simili a Fallout 3-4 se vogliamo), ma forse un po’ più di varietà avrebbe giovato dato che nel terzo atto sono davvero inflazionati e rischiano di diventare tediosi.
Concludendo…
The Thin Silence offre all’incirca 4-5 ore di gioco, e di queste diciamo che buona parte saranno passate a trascinare il nostro personaggio da una parte all’altra dello schermo sperimentando spostamenti di pietre, leve e ascensori nei livelli più complicati (anche se in realtà la difficoltà non raggiunge mai livelli altissimi).
La storia d’altra parte è molto ricca di spunti di riflessione sulla società moderna, ma a tratti (forse volutamente) viene raccontata con disorganizzazione, e specialmente nel terzo atto sarete costretti a leggere molti documenti dai vari terminali che troverete in giro.
Non è un brutto gioco, ma è molto particolare e non per tutti, essendo uno strano connubio tra esplorazione, narrazione e puzzle; per noi non ha funzionato benissimo: non c’è un filo logico tangibile a cui aggrapparsi e la lentezza nei movimenti del personaggio sono davvero sfiancanti.