Originale, psichedelico e molto, molto colorato.
Forse diventa riduttivo descrivere così “Marble Madness” ma di sicuro questi aggettivi si sposano molto bene con il gioco pubblicato da Atari nel 1984. Un titolo rivoluzionario che mise a dura prova i riflessi e la prontezza di spirito dei giocatori che si cimentarono nel tentativo di finirlo. Divertente ma anche frustrante in alcuni frangenti, sapeva farsi amare ed odiare perché vi assicuriamo che finire le mappe di questo universo fatto di poligoni non era affatto semplice. L’obiettivo di “Marble Madness” è davvero elementare: il giocatore tramite trackball, joystick o mouse – dipende su quale piattaforma veniva giocato – doveva guidare una pallina (presumibilmente di marmo) attraverso ostacoli geometrici, tubi, pozzi e nemici verso la fine di ogni pista nel minor tempo possibile. Meno secondi si impiegavano più elevati erano i bonus di cui si godeva.
Un fascino che dura da 37 anni
In quel 1984 “Marble Madness” si fece notare parecchio, soprattutto dagli utenti Atari. Fu, infatti, il primo titolo per il sistema Atari Systerm 1 e fu anche uno dei primissimi videogiochi ad avere una vera e propria colonna sonora stereofonica. I ritmi incalzanti durante le partite e l’ambientazione assolutamente sui generis fecero il resto. In molti furono “rapiti” da questi labirinti isometrici che, ai più attenti, ricordano le opere di Maurits Cornelis Escher, il famoso grafico olandese noto per le sue opere ricche di poliedri, distorsioni geometriche, del tutto personali. In molti vollero terminarlo assolutamente perché i livelli, benché pochini, erano come le ciliege: uno tirava l’altro e la curiosità era davvero stuzzicata così come la voglia di finirlo anche nel più breve tempo possibile che poi è il vero scopo del gioco.
Sei livelli di difficoltà crescente…
Certamente “Marble Madness” non sarà ricordato per la sua longevità. Come degno protagonista della sua epoca, i punti forti spesso e volentieri erano altri, non certo la lunghezza delle sue mappe. Erano solo sei i livelli di gioco, di difficoltà chiaramente crescente. Il primo livello è un sostanziale tutorial, serve per fare pratica e per prendere confidenza con i difficili comandi e dinamiche fisiche derivate dal controllo di questa sfera folle. I percorsi portano i nomi della difficoltà (presunta) che rappresentano. E così, il secondo “quadro” si chiamerà “Beginner” (Principiante); il terzo “Intermediate” (Intermedio); il quarto “Aerial”; il quinto “Silly”; ed il sesto (ed ultimo) “Ultimate”. Cambiano chiaramente le ambientazioni: dallo spensierato ed allegro ambiente della “pista” iniziale, – il termine pista è appropriato visto che alla fine della corsa la nostra biglia si posava su una piazzola con scritto “Goal”- si passa via via a sfondi e decorazioni più tetre con ostacoli sempre più problematici da superare. Già dal secondo schema noteremo la presenza di nemici decisi ad ostacolarci in tutti i modi, ma anche di ponti levatoi infidi. Corridoi sempre più stretti, uccelli, biglie avversarie sezioni a pressione e quant’altro renderanno un inferno la nostra permanenza nell’universo di “Marble Madness”. Il rischio, nonostante le dimensioni ridotte del gioco, di perdere le sfere a disposizione era, ed è, elevatissimo. Oltre al contatto più o meno duro con i nemici, il cadere nel vuoto, il modo vero e proprio per andare in game over era quello di far scadere il tempo. Le vite, infatti, erano infinite, ma non i secondi a nostra disposizione. Destreggiarsi sfidando, oltre che la fisica, gli attriti delle varie superfici diventava un’impresa da raccontare ai posteri. Il segreto, oltre che ai riflessi, era la sensibilità con la quale si guidava la biglia… ma questo aspetto non era per niente facile da acquisire.
Le geometrie originali, il sonoro in stereo…
Il fascino di “Marble Madness” è però senza dubbio racchiuso nel suo lato tecnico. I suoi colori sgargianti, la sua geometria alternativa, realizzata in modo ineccepibile, la sua prospettiva e la componente surreale che ne disegnavano la grafica di gioco davano all’occhio un gradevolissimo spettacolo. Gli ambienti avevano anche sfumature cromatiche che donavano precisione e profondità alla prospettiva. I sei livelli presenti erano tutti diversificati, ben animati e molto veloci supportati, tra l’altro dal buon comportamento dello scrolling verticale. E quando si hanno queste caratteristiche, un gioco ha già fatto il suo dovere. Di nota anche la colonna sonora che, come detto in precedenza, era una delle prime in assoluto ad essere in stereofonia. I motivi erano, e rimangono, molto orecchiabili. La giocabilità, invece, non è difforme da molti titoli dell’epoca. Pur essendo sui generis è davvero difficile trovare un nome al tipo di gioco di “Marble Madness”, c’erano dei “paletti” che se superati molto difficilmente avrebbero portato alla conclusione. La difficoltà complica ulteriormente le cose perché se i primi due livelli sono tutto sommato semplici ed accessibili, già dal terzo in poi diventa un’impresa soltanto tenere la pallina in linea. Gli ostacoli, le trappole e l’architettura stessa dei meandri disegnati dalla squadra Atari diventano davvero infidi.
Conversioni praticamente perfette
Amiga e Commodore 64, così come tutte i computer e console ad otto e sedici bit presenti all’epoca, presentarono ottime conversioni di “Marble Madness”. Maggiore fluidità, come è nell’ordine naturale delle cose, sui 16 bit, ma anche su Commodore 64 o Nes tutta l’atmosfera, la giocabilità e la tecnica furono trasportate in maniera eccellente.
Finire Marble Madness in meno di 3 minuti
Ci sono due categorie di giocatori che hanno visto e provato “Marble Madness”. Quelli che l’hanno finito e quelli che dopo averlo intravisto ed intuito le difficoltà iniziali lo hanno abbandonato. Tra quelli che l’hanno concluso ci sono i lenti, i medi i veloci ed i velocissimi. E c’è anche chi riesce a concludere le proprie fatiche in meno di 3 minuti grazie non solo all’allenamento ma all’attento studio del comportamento della intelligenza artificiale. Un altro difetto che si può attribuire al titolo Atari è la sua scarsa longevità: troppo poche 6 mappe. Ma questo bastò a consacrare “Marble Madness” e la sua “stramaledettissima” pallina alla storia.