Nel primo degli speciali dedicati al venticinquesimo anniversario di Pokémon, abbiamo discusso delle origini del marchio e di come questo sia sconfinato al di là delle frontiere del settore videoludico. Trasformata in un redditizio franchise multimediale, l’opera di Satoshi Tajiri e Ken Sugimori è divenuta, nel corso degli anni immediatamente successivi alla sua pubblicazione su Game Boy, un importantissimo caso di studio per il mondo dell’intrattenimento. Il periodo corrispondente al 27 febbraio 1996, data di lancio dei capitoli Rosso e Blu, ha determinato la rilevanza di Pokémon, travalicando in un concetto o, per meglio dire, in uno stile di vita. Il suo peso è stato tale, e lo è tutt’oggi, da portarci a chiedere quanti -e quali- siano stati i suoi apporti ai successori dell’intera industria. Per siffatta ragione, nel corso di questo speciale cercheremo di capire quale sia stato l’aspetto determinante per il successo dei Pocket Monsters.
Pokémon, lo sdoganamento dei capisaldi videoludici
Come abbiamo scritto nel precedente articolo, la trasposizione digitale del proprio amore per l’entomologia ha permesso al fondatore di Game Freak, sotto la supervisione del publisher Nintendo, di progettare un mondo che sapesse fornire al giocatore un’esperienza meta-ludica, all’ora inedita. In un periodo, a suo dire, poco florido per le console del tempo, Satoshi Tajiri riteneva che fosse necessaria la creazione di un titolo che sapesse ridefinire i paradigmi di quello che veniva associato alla parola “videogioco”. La percezione di quest’ultimo, da parte dell’utenza mondiale, era fortemente legata ai capisaldi degli RPG, che avessero uno stampo fortemente occidentale o della terra del Sol Levante. Il rinnovo di una forma ludica acclamata, dunque, doveva corrispondere ad elementi che si distaccassero dal gioco in sé, mantenendo ovviamente uno strato di complessità soddisfacente per i canoni del tempo. Tale svecchiamento spinse dapprima il team a creare un mondo ampio e variegato (nonostante i limiti hardware di una console portatile come il Game Boy) e, successivamente, a lavorare sulla percezione di quello stesso universo.

Risveglio da un dogmatico sogno digitale
In contrapposizione ad un game design a tratti stagnante e ripetitivo, l’idea di un prodotto che gettasse le basi per una “rivoluzione copernicana” fu la chiave vincente per il titolo di Game Freak. Per quanto l’elemento narrativo fosse ancora acerbo (se non addirittura inesistente) ed in linea con le produzioni dei primi anni ’80 e ’90, Pokémon Rosso e Pokémon Blu riuscirono, sin da subito, ad offrire una formula ludica tutt’oggi accattivante, nella quale la componente ruolistica viene ribaltata in un modo inarrivabile da moltissime software house. Il tentativo di riprodurre il fenomeno Pokémon in salsa differente, da parte di case di sviluppo esterne a Game Freak, è stato impossibile, tanto da rafforzare ulteriormente la nomea del brand. La peculiarità del prodotto lanciato sul mercato, che entrava in forte contrapposizione con il genere dei giochi di ruolo, si basava sull’idea secondo la quale il protagonista dell’avventura, per la prima volta in assoluto, non doveva subire il processo di avanzamento esperienziale. La progressione in game si associò alle numerosissime creature (ai tempi i due titoli contavano 151 Pokémon), con una particolarità per la quale ad un percorso erano associati alcuni Pokémon caratteristici. Con questi capitoli si esplorò realmente il concetto di “meta”, inteso come soluzione migliore per raggiungere un determinato obiettivo, non più affiancato al potenziamento dell’avatar digitale. L’esistenza di numerose tipologie di Pokémon, a cui corrispondevano mosse speciali o fisiche dello stesso tipo o differente, obbligava il giocatore a creare la propria squadra con una logica tale che gli permettesse di affrontare tutti gli allenatori.

Avanguardismo videoludico
All’elemento ruolistico delle debolezze elementali dei Pokémon, a cui corrispondeva un attacco inefficace, normalmente efficace o superefficace, si aggiungono anche una serie di variabili in apparenza secondarie, ma che per una creazione sinergica del team risultano essere fondamentali. Oltre alle sopracitate mosse fisiche e speciali, i propri Pokémon possono imparare mosse capaci di modificare le statistiche base dell’avversario e, a partire dalla seconda generazione, la possibilità di interferire sulla condizione atmosferica del campo di battaglia. Ne consegue, soprattutto con quest’ultima introduzione, un cambiamento ancor più profondo del meta, che diverrà imprescindibile per le fondamenta delle competizioni mondiali che si svolgono tra i videogiocatori del mondo Pokémon. Tuttavia, il sistema di creazione dei team sarà approfondito successivamente, con un articolo dedicato sempre in occasione del venticinquesimo anniversario della saga.

Esperienze meta-ludiche
Seppure si sia parlato non poco dell’importanza dei due capitoli Rosso e Blu nel panorama videoludico, soprattutto nel settore degli RPG, ciò che ha influito sulla percezione dei consumatori in merito al brand Pokémon è stata la natura stessa del prodotto, a tratti esplorativa, competitiva e collezionistica. Che si voglia giocare da soli o in compagnia con i propri amici, Pokémon è sempre stato un prodotto capace di regalare emozioni uniche nel suo genere. Se da un lato abbiamo un comparto ludico stratificato e a tratti complesso da padroneggiare, dall’altra parte vi è un’esperienza attraente anche per un’utenza più piccola. Il legame che si instaura tra videogiocatore ed i propri compagni di avventura, testimoniato dall’esistenza di creature che si evolvono tramite un forte legame d’amicizia, fornisce ad un “semplice” viaggio una carica emotiva difficile da sottovalutare. I mostriciattoli tascabili subiscono trasformazioni biologiche e combattive, tanto interessanti da creare nuove analisi etologiche (a dimostranza dell’amore che Satoshi Tajiri ha riposto nella propria opera) grazie all’ausilio del Pokédex, un’enciclopedia tascabile che arricchirà profondamente l’esperienza del singolo giocatore.