Sapevamo tutti che bissare l’inaspettato successo del primo capitolo di Dying Light sarebbe stata un’impresa troppo complessa, soprattutto alla luce dei diversi problemi di produzione che hanno afflitto il progetto negli uffici di Techland. La software house polacca, tra il caos pandemico che ha colpito il settore in una maniera incredibilmente cruenta e immediata e una collaborazione troncata – nel momento peggiore – con lo storico Chris Avellone, si è aggrappata con le unghie e con i denti sull’orlo di un precipizio che, per molti, avrebbe significato la drastica fine di un progetto “nato sotto una cattiva stella”. Eppure, quattro anni dopo l’annuncio sul palco dell’E3, ecco quindi arrivare sul mercato l’attesissimo Dying Light 2, in un mese colmo di uscite di spessore e di alte aspettative da parte di tutta la community di giocatori, console e PC.
Dying Light 2 è un prodotto che ha risentito parecchio dello sviluppo travagliato a cui è stato sottoposto e ne sono testimoni gli innumerevoli difetti sia in termini di scrittura che di “pulizia generale”. Nonostante tutto, l’open world post apocalittico di Techland ci ha divertiti parecchio, grazie alla solita grande dose di divertimento e varietà, unita ad una mole di contenuti di tutto rispetto.
Grazie ad un codice review fornitoci dal publisher, relativo alla versione PC del gioco, abbiamo spolpato a dovere l’offerta contenutistica dell’ultima “faticaccia” di Techland. Ecco quindi, come di consueto, le nostre considerazioni finali sul titolo…
La seconda ondata
L’epidemia della cittadina di Harran era solo la punta dell’iceberg. Nonostante una cura vaccinale in grado di arginare la prima “ondata” del virus, una variante – malauguratamente uscita da un laboratorio – altro non ha fatto che provocare l’inevitabile “fine del mondo”. Le creature non morte, da casi isolati, sono diventate le principali dominatrici di un mondo sull’orlo del collasso, ben lontano dal “speranzoso” (si fa per dire) panorama del primo capitolo della saga.
Dying Light 2 si svolge circa una trentina di anni dopo gli eventi del sopra citato primo capitolo. Kyle Crane è ormai un lontano ricordo e verremo introdotti al nuovo protagonista dell’avventura targata Techland, Aiden, un “pellegrino”, un solitario viaggiatore di questo mondo straziato dal virus e costretto a relegare la popolazione all’interno di poche città-fortezza, isolate dal resto del pianeta. Aiden, oltre a cercare di sopravvivere all’interno di un mondo che sembra non dare alcuna speranza al genere umano, è alla ricerca dell’unico legame che lo tiene ancora incollato alla vita: sua sorella Mia, da cui è stato separato in tenera età in seguito a diversi esperimenti dei ricercatori del GRE.
Durante la longeva avventura che, missioni secondarie a parte, ci terrà impegnati per circa una trentina di ore di gameplay, verremo a conoscenza di un nutrito cast di personaggi, spostandoci all’interno del nuovo setting proposto dai ragazzi di Techland, la cittadina di
Villedor, contesa – non senza problemi – da tre fazioni a cui, ovviamente, dovremo concedere le nostre attenzioni in diversi bivi narrativi. Sì, perché alla base l’avventura di Techland nasce sotto le innumerevoli attenzioni di Chris Avellone che, almeno superficialmente, sembra aver dato una impostazione ruolistica estremamente marcata, fornendo diverse opportunità in termini di scelte che, alla lunga, non sembrano influire più di tanto sul comparto narrativo. La mancanza di “peso” nelle nostre scelte si avverte specialmente nel fluire degli eventi narrati: conquistare una struttura chiave, all’interno della città, ed assegnarla alla fazione X piuttosto che a quella Y, influisce solamente in termini di “armamentario” e non tanto in termini puramente narrativi, ma di questo aspetto vi parleremo più nel dettaglio nei prossimi paragrafi.
Dying Light 2 è un titolo “zoppo” sul fronte puramente narrativo e non solo per quanto riguarda i già citati bivi narrativi. La collaborazione troncata con Chris Avellone sembra aver avuto infatti un impatto piuttosto negativo sulla qualità e la linearità della scrittura, in linea generale. Le quest secondarie in appoggio alla main storyline sembrano, a tratti, incredibilmente “sconnesse” dal filone narrativo principale, ri-presentandoci personaggi che già avevamo avuto modo di conoscere in alcune missioni come fosse la prima volta o altri buchi di narrativa che avremmo preferito non vedere. Anche i personaggi secondari, che ci accompagneranno per tutta lo svolgimento della campagna, tra cui la Lawan interpretata da Rosario Dawson e l’enigmatico Hakon, non brillano di caratterizzazione e, come per tutto il resto della produzione, soffrono un po’ della scrittura poco incisiva che aleggia in tutta l’ultima fatica targata Techland.
Good night, good luck
Alla base del gameplay del titolo Techland troveremo, ovviamente, le dinamiche parkour in prima persona che hanno fatto la fortuna del primo capitolo di Dying Light. Rispetto a quanto proposto con la mappa di Harran nel primo capitolo, in Dying Light 2 le macro mappe disponibili nell’avventura sono state maggiormente sviluppate sulla verticalità, rendendo quasi indispensabile sviluppare le abilità di parkour del protagonista. Saltare da un tetto ad un altro, utilizzare il parapendio per muoversi più velocemente tra una zona cittadina ed un’altra, oltre che scalare vecchie strutture per raggiungere punti di interesse, saranno alla base delle nostre scorribande all’interno degli scenari urbani di Villedor, vari al punto giusto e pregni di tante attività “extra” che ci terranno incollati allo schermo per uno spaventoso numero di ore.
Il ciclo giorno e notte sarà ancora più importante rispetto al passato. In quanto infetto, Aiden dovrà necessariamente tenere la mutazione sotto controllo: mentre durante il giorno i problemi sembrano essere solo un lontano ricordo, il virus – durante le ore notturne – prenderà il sopravvento, costringendoci a tenere d’occhio il contatore di immunità posto sulla parte superiore dello schermo – l’immunità potrà essere ristabilita con speciali iniettori (craftabili o ottenibili nelle varie casse sparse per il mondo di gioco) oltre che dalle fonti di luci UV in particolari safe zone disponibili sulla mappa. La notte non è solo il momento della giornata in cui saremo tenuti a controllare la nostra esposizione al virus ma anche l’occasione ideale per esplorare location altrimenti “inagibili”: pensiamo ai vari negozi o alle cosiddette “zone oscure”, colme di non morti dormienti durante il giorno e prive di grossi pericoli al calar delle tenebre – alcune quest, inoltre, potranno essere avviate e completate solo durante la notte, il che rende questo ciclo indispensabile ai fini del gameplay e non solamente un “accessorio” come nel primo capitolo. Ovviamente gli spostamenti al di fuori delle strutture dovranno essere valutati con molta più cura, in quanto il rischio di incappare in zombie screamer potrebbe risultare in un inseguimento al cardiopalma.
Non si vive di solo parkour
Dying Light 2 cerca di riproporre, con doverosi upgrade, il combat system in prima persona della precedente iterazione togliendo, non senza polemiche, le tanto “odiate” bocche da fuoco. Da asce improvvisate a tubi, per poi passare ad archi e balestre, il gioco mette a disposizione un armamentario da una parte più “limitato”, rispetto al primo capitolo, ma allo stesso tempo più bilanciato – basti pensare che, avendo accesso a tutti i DLC, il primo Dying Light era facilmente “rompibile” fin dalle prime sequenze di gameplay, vista la possibilità di “craftare” armi più potenti con pochi materiali a disposizione.
Divise per rarità e con una scheda tecnica atta ad indicare i danni e il tipo di attacco della stessa, le armi in Dying Light 2 non possono essere riparate, contrariamente a quanto visto nella precedente iterazione: in pieno stile Breath of the Wild, salvo rare eccezioni, rompere un arma significherà perderla per sempre – a questo pro, tuttavia, gli sviluppatori hanno messo a disposizione dei giocatori varie possibilità in termini di upgrade, dandoci così modo di inserire perk e potenziamenti alle armi che, oltre ad aumentare danni (di tipi diversi, da fuoco, elettricità, acido e ghiaccio), ne aumentano anche la durabilità.
Sul fronte gameplay nudo e crudo il gioco ripresenta il medesimo sistema della precedente iterazione, appoggiandosi su un combat system che, in quanto a varietà, poggia molto delle sue possibilità sui perk acquistabili nei due diversi alberi delle abilità. Se da un lato lo scontro con i classicissimi non morti funziona abbastanza bene – rimanendo comunque dell’idea che anche le boss fight risultano incredibilmente più facili rispetto al passato – il titolo non riesce a proporre degli scontri con gli umani degni di essere citati, a causa di una IA super prevedibile e priva di “strategie complesse” atte a metterci seriamente in difficoltà. Se poi ci aggiungiamo un sistema stealth che pare essere rimasto inchiodato agli standard di vent’anni fa, il quadro generale di Dying Light 2 non è proprio dei migliori.
A rimpinguare la componente ruolistica troveremo un inventario completamente personalizzabile: sarà possibile, difatti, equipaggiare Aiden con svariati indumenti (suddivisi per “classi”, tra cui ranger, medico e tank) atti a fornire ulteriore protezione al nostro protagonista e aumentarne determinate skill in battaglia. Il gioco non presenta un auto leveling della difficoltà sulla base del nostro rango, ma offre aree ed attività suddivise e “bloccate” su un unico livello, precludendo al giocatore determinate aree nelle prime ore dell’avventura. Scelta tutto sommato apprezzata che, in linea generale, funziona abbastanza bene.
Abbiamo giocato Dying Light 2 ben due settimane dopo il lancio ufficiale, e con questo siamo rimasti considerevolmente colpiti – in negativo – dalla spropositata mole di bug. Il gioco, tutt’oggi, riversa in uno stato ben lontano dalla completezza che ci saremmo aspettati da questo secondo capitolo: tra glitch grafici di svariate entità, ad errori più o meno grossolani che minano non poco l’esperienza di gioco (tra quest non completabili, passando per oggetti che – misteriosamente – scompaiono dall’inventario). Nonostante un Techland già sulla buona strada sul viale del “fixing forsennato”, il gioco riversa ancora in uno stadio ben lontano dall’essere considerato ripulito e stabile. Peccato.
Two, three, four…is better than one?
Nel primo Dying Light una delle feature più apprezzate è, senza dubbio, la modalità coop online, che consente fino a quattro giocatori di percorrere insieme tutta la storia, dall’inizio alla fine, espansione The Following compresa. Feature che, dobbiamo dirlo, funziona ancora oggi davvero molto, molto bene. Ovviamente Techland non poteva omettere una delle aggiunte più importanti del primo capitolo ed infatti anche qui fa il suo ritorno la medesima funzionalità, che promette di mantenere le stesse caratteristiche. Dopo aver speso molte ore in compagnia possiamo anticipare che, un po’ come tutto il resto del gioco, la modalità online va considerata un sonoro work-in-progress. Ci sono tanti problemi, anche se invero nessuno grave: il gioco online c’è e tutto sommato è anche godibile, ma sporadicamente ci è veramente successo di tutto. Spesso i giocatori appaiono vistosamente disallineati: non è strano vedere il vostro compagno colpire uno zombi che, ai nostri occhi, sta ad un metro di distanza, oppure vedere avversari comparire dal nulla e, purtroppo, sono cose così frequenti che ci si fa l’abitudine. Diciamo che, per la maggiore, si tratta di problemi tutto sommato “cosmetici”. Una questione più seria è però la difficoltà perché, se già giocando da soli il gioco può risultare piuttosto semplice, in multiplayer diventa quasi elementare. Non sembra esserci nessun tipo di bilanciamento nel gioco online, quindi la difficoltà sia che si giochi in singolo che in compagnia è la medesima. Il risultato è che accade di affrontare alcuni boss letteralmente prendendoli a schiaffi – come nei migliori film di Bud Spencer e Terence Hill.
Insomma, considerato l’eccellente lavoro svolto dal gioco online del primo capitolo, è stato un brutto “shock” incontrare tutti questi problemi nel secondo e speriamo vivamente che i ragazzi di Techland possano porvi rimedio con le prossime patch.
La next-gen del C-Engine
Con Dying Light 2, Techland ha giocato in casa, sfornando un nuovo engine proprietario (tale C-Engine) atto a mettere i muscoli sulle schede di nuova generazione in grado di sfruttare appieno le tecnologie più innovative. Su PC, Dying Light 2 è un titolo bello da vedere in movimento ma non per questo ottimizzato nel migliore dei modi: sarà quindi necessario disporre di una configurazione di fascia alta per godere appieno di ray tracing e risoluzioni più elevate (a questo pro, date un’occhiata ai requisiti ufficiali, per farvi un’idea sulla questione).
Graficamente parlando, lo step evolutivo rispetto al primo capitolo è evidente, e lo dimostrano gli effetti particellari ancora più curati, un ray tracing in grado di dare un tocco sostanziale in più alle ambientazioni proposte (solo Cyberpunk 2077 era stato in grado di entusiasmarci tanto, sul fronte ray tracing applicato ad un open world) oltre che di regalare alcuni paesaggi dal forte impatto grafico. Anche i modelli dei volti sono migliorati parecchio, nonostante ancora una forte plasticità degli stessi, in termini di espressioni facciali: un peccato perché avendo a disposizione un’attrice del calibro di Rosario Dawson si sarebbe potuto e dovuto fare di meglio sotto questo aspetto. Anche sul fronte animazioni non siamo rimasti colpiti a dovere: se da un lato la fluidità di movimento durante le sezioni parkour è apprezzabile, dall’altro siamo rimasti un po’ “straniti” nell’osservare quelle degli zombi in preda ai nostri attacchi, proponendo una pletora abbastanza bizzarra di animazioni predefinite che si differenziano, in negativo, dall’effetto “ragdoll” che restituivano i nemici nel primo capitolo.
Nonostante le ambientazioni dal forte impatto, segnaliamo alcune texture in bassa risoluzione che stonano un po’ con il quadro generale offerto da Techland. Sul fronte prestazioni, abbiamo avuto modo di testare il titolo su due configurazioni differenti: una prima, di fascia alta e armata di RTX 3080 ti e processore i7-11700K, si è stabilizzata su un frame rate di circa 90 frame al secondo, con ray tracing attivo e risoluzione ultra-wide (a questo pro, per chi volesse fare a meno delle fastidiose “bande nere” durante i filmati, consigliamo di sfruttare i plugin offerti da Flawless Widescreen). Abbiamo avuto modo di testare il gioco con configurazioni più modeste con risultati interessanti. Con una RTX 3060 in FullHD le performance sono in generale eccellenti, ma attivando il ray-tracing (base) l’engine arranca vistosamente, riuscendo a raggiungere al massimo i 30 fps. C’è da dire che attivando il DLSS la situazione migliora energicamente e si riescono ad ottenere i 60 fps stabili. Dying Light 2 è risultato comunque pienamente godibile anche su un computer dotato di una vetusta R9 290X e disco meccanico: in questo caso, con tutti i dettagli a livello medio e sfruttando l’ottimo FSR, il FullHD regge stabilmente i 60 fps e tutto sommato la grafica si colloca ancora ad un livello più che accettabile senza sfigurare.
Buono anche il comparto sonoro che si appoggia su una discreta pletora di brani e ad un doppiaggio, in sola lingua inglese, di pregevole fattura.
Concludendo…
Dying Light 2 è, complessivamente, un buon gioco. Nonostante si tratti di una completa evoluzione della formula di gioco, vincente, del precedente capitolo, sotto molti aspetti Techland non è riuscita a tener fede alle promesse fatte. Partiamo dal comparto narrativo, colpito da una scrittura carente e dalle tante osannate scelte multiple che, a conti fatti, pesano pochissimo sullo svolgimento della storia, ma citiamo anche gli innumerevoli bug o la IA umana abbastanza deludente. Allo stato attuale Dying Light 2 è un titolo incompleto, che necessita ancora di diversi lavori di rifinitura ma che, sotto un consistente strato di “ruggine”, nasconde una produzione dannatamente divertente e contenutisticamente eccelsa.
Se fossimo sotto esame, Dying Light 2 sarebbe sicuramente un titolo da “rimandare a settembre”, in attesa di nuove patch atte a sistemare le problematiche più evidenti.