La chiacchierata nuova IP di Tango Gameworks, studio di sviluppo giapponese tra le fila del colosso Bethesda (fresco di acquisizione nella famiglia Xbox), è finalmente giunta sul mercato, sia come esclusiva temporale per Playstation 5, sia con una versione PC in grado di sfruttare appieno le nuove tecnologie proprietarie di Nvidia, esclusive con le schede video di nuova generazione.
Ghostwire: Tokyo, questo il nome del titolo di cui parleremo quest’oggi, è l’ultimo parto creativo di Shinji Mikami, il “papà” della serie Resident Evil, nonché già autore di quell’apprezzato The Evil Within che, a modo suo, cercava un po’ di riprendere il sentiero tracciato dal survival horror rivisto in chiave action, con Resident Evil 4.
Insomma, Ghostwire: Tokyo pur imperfetto, è un ottimo prodotto, che ci sentiamo in dovere di consigliare a tutti i videogiocatori appassionati del Giappone e del suo folklore, oltre che di quelle tematiche “horror” che affondano le proprie radici nella cultura nipponica più antica, quella degli yokai, per intenderci.
Abbiamo provato il gioco nella sua incarnazione PC e, quest’oggi, vogliamo parlarvi alla nostra maniera, andando ad elencare i nostri – personalissimi – cinque motivi da spingerci ad acquistare e provare la nuova IP di Tango Gameworks: buona lettura!
1. Una finestra sul folklore della cultura giapponese
Ghostwire: Tokyo è un titolo che riesce a miscelare, sapientemente, la tematica della vita dopo la morte al tipico folklore giapponese, tra spiriti, Yokai e Tanuki.
Il gioco di Tango Gameworks si svolge in una versione quasi vuota della città di Tokyo, grazie a un misterioso evento chiamato “la scomparsa” che causa l’improvvisa scomparsa di quasi tutti gli abitanti. Al loro posto troveremo infatti creature folcloristiche e spiriti maligni che vagano per le strade.
All’interno del gioco vestiremo i panni di Akito, il malcapitato protagonista, che a seguito degli eventi paranormali che hanno colpito Tokyo, verrà posseduto da uno spirito detective di nome KK, che, pur avendo i suoi obiettivi che riguardano un gruppo di terroristi mascherati che, apparentemente, sembrano essere la causa del terrore capitato tra le strade della metropoli, gli concede i propri poteri soprannaturali.
Come dicevamo, in seguito alla scomparsa, Akito dovrà respingere con i poteri di KK gli spiriti “nemici”, chiamati Visitatori. Il design dei Visitatori è proprio il cardine della produzione targata Tango Gameworks, in quanto chiaramente ispirati alla mitologia e al folklore della cultura giapponese. Studentesse decapitate, uomini innaturalmente alti e privi di occhi – il design “disturbante” degli avversari è, indubbiamente, l’aspetto più curato dell’intero comparto artistico di Ghostwire: Tokyo, escludendo ovviamente le meravigliose strade di Shibuya che, da parte loro, mettono in mostro una cura meticolosa degli scenari urbani che non vedevamo dall’uscita di Yakuza: Like a Dragon.
2. L’open world di Tokyo vi terrà impegnati a lungo
Ghostwire: Tokyo, pur appoggiandosi su meccaniche open world che, ad oggi, se confrontate con titoli che elevano il concetto stesso di “mondo aperto” – come il recente Elden Ring – potremmo definire superate, riesce comunque a garantire la sua buona sana dose di contenuti, proponendo piccoli inserti narrativi sicuramente apprezzabili.
Tra missioni secondarie, caratterizzate da una discreta scrittura, collezionabili, portali da purificare e molto altro, la mappa di Ghostwire: Tokyo risulta senza dubbio ricca di contenuti, capaci di far felici i giocatori “completisti” intenzionati a perdere, letteralmente, le ore tra le strade cittadine.
Pur ricco di cose da fare, la componente open world, come dicevamo, si basa ancora su canoni classici ben delineati. L’esplorazione, spesso, avviene linearmente ed esauriti in poche ore i contenuti secondari, ci siamo accorti della loro distribuzione ripetitiva per tutta l’estensione della mappa.
Quindi bene, ma non benissimo: spesso quantità non è sinonimo di qualità e molte software house dovrebbero tenerne conto nello sviluppo di titoli di nuova generazione.
3. Artisticamente è un vero gioiello
Ci ricolleghiamo al primo paragrafo per parlare di quello che è, a nostro parere, uno tra gli aspetti più curati dell’intera produzione targata Tango Gameworks: il comparto artistico.
Le strade di Tokyo, specialmente sulla versione PC da noi testata in fase di review, beneficiano a dovere del raytracing implementato dagli sviluppatori, in grado di dare maggiore risalto ai riflessi sull’asfalto, il neon delle insegne e l’esplosione di colori che è, a conti fatti, la Tokyo moderna.
Il gioco è un ottimo showcase tecnico per le console di nuova generazione, anche a partire dalla cura nel design dei Visitatori, particolareggiati ed inquietantissimi nel loro stesso design. Per questo, un plauso è dovuto al team tecnico dietro Ghostwire: Tokyo che, specialmente su PC e su configurazioni di fascia alta, è in grado di regalare un bello spettacolo, sul fronte puramente tecnico.
Vi alleghiamo, per conoscenza, la configurazione su quale abbiamo avuto modo di provare il titolo.
Configurazione di prova:
Monitor: AOC CU34G2X/BK
Scheda video: GeForce RTX 3080 Ti
Processore: Intel Core i7-11700K
RAM: 32 GB DDR4
4. L’utilizzo delle magie e “le ipnotiche” mani di Akito
Akito e KK avranno accesso ad una vasta gamma di poteri, durante le loro peripezie per le strade spettrali di Tokyo.
Il sistema di combattimento è stato descritto dagli sviluppatori come “il karate che incontra la magia” e non esiste miglior descrizione per descrivere per la prima volta il gameplay di Ghostwire: Tokyo.
I poteri soprannaturali a disposizione di Akito, permettono al protagonista di usare la magia per logorare i nemici soprannaturali ed esporre i loro nuclei vitali (vengono descritti come il vero e proprio “cuore” dei Visitatori), che potranno poi essere purificati ed, in qualche modo, esorcizzati da Tokyo. Le animazioni delle mani, in questi casi, danno assoluta dimostrazione dell’eccellente lavoro svolto dai ragazzi di Tango Gameworks: il movimento delle mani di Akito è assolutamente ipnotico e le animazioni delle stesse risulta uno tra gli aspetti più curati che abbiamo mai avuto modo di osservare in un titolo in prima persona.
I poteri non solo offensivi. Alcune delle abilità che Akito ci permetteranno di trovare oggetti nascosti nella zona (quindi, l’esplorazione è sicuramente in), oltre ad essere usate per attraversare il mondo dei giochi come un rampino, mentre lo scudo, consentirà ad Akito di respingere le offensive nemiche senza subire alcun danno, se attivato al momento giusto.
L’armamentario di Ghostwire: Tokyo prevede anche arco e frecce, utili a sbarazzarsi con ancor più precisione dei Visitatori per le strade. Nelle fasi avanzate dell’avventura sarà inoltre possibile sbloccare altri tipi di poteri, tra cui alcuni basati sulla manipolazione del fuoco.
5. Longevo al punto giusto
La storia di Ghostwire: Tokyo si spende in circa una ventina di ore di gioco, mantenendo sempre costante il ritmo della narrazione. Il gioco vanta un doppiaggio in lingua giapponese (oltre che uno inglese), che vi consigliamo di attivare durante il vostro primo playthrough. La qualità della cutscene è pregevole, così come la caratterizzazione dei comprimari, i quali vi terranno incollati allo schermo dall’inizio alla fine.
Forse un po’ troppo facile il livello di difficoltà (lo abbiamo portato a termine a normale, dall’inizio alla fine), ma siamo dell’idea che il titolo riesca a proporre una longevità adatta a questo tipo di narrazione. Senza comunque contare l’enormità di contenuti secondari che, i completisti, vorranno spolpare a dovere per potenziare al massimo i perks nell’albero delle abilità di Akito.
Concludendo…
Ghostwire: Tokyo è un titolo divertente, affascinante e caratterizzato da un comparto artistico sicuramente pregevole. La nuova IP di Shinji Mikami e Tango Gameworks si presenta su un mercato “saturo” di produzioni open world classiche, ma riesce comunque a dire la sua grazie ad un gameplay innovativo (anche se, alla lunga, ripetitivo) e indubbiamente affascinante da vedere.