Fin dal suo annuncio, Avatar: Frontiers of Pandora riuscì a suscitare un certo interesse agli occhi degli amanti delle pellicole cinematografiche di James Cameron. Palese la volontà degli sviluppatori di Ubisoft Massive nel ricreare meticolosamente il mondo sfarzoso e immaginifico dei blockbuster di James Cameron, andando a creare un’esperienza visivamente sorprendente e in grado di stabilire un nuovo standard in termini puramente grafici. Tuttavia, similmente a quanto accade nei film, una volta “scartati” gli strati estetici di Pandora, purtroppo non emerge una storia molto convincente: vi spieghiamo perché nella nostra analisi, relativa alla versione PS5 del titolo in questione.
Buona lettura!
Una Pandora da liberare
Avatar: Frontiers of Pandora si svolge poco dopo gli eventi del primo film, dopo che Jake Sully incita una ribellione Na’vi contro le forze di invasione della RDA. Un piccolo gruppo di Na’vi – cresciuti in cattività – entra a Pandora e viene gettato in una guerra contro gli umani. Giocheremo nei panni di un Na’vi, creato tramite un semplicistico editor del personaggio, intento a viaggiare attraverso le regioni di Pandora, per unificare le varie tribù e clan al fine di fermare la distruzione del mondo naturale.
Avatar: Frontiers of Pandora riprende, con una certa familiarità, il gameplay tipico dei titoli open world di Ubisoft, in particolare quelli della serie Far Cry. Controlleremo il nostro Na’vi da una prospettiva in prima persona e utilizzeremo una serie di armi e gadget per combattere i soldati, i mech e le navi da guerra della RDA. L’arco sarà l’arma principale del gioco, utile per eliminare silenziosamente nemici e sparando colpi rapidi e letali. È indubbiamente uno dei gameplay con l’arco più appaganti mai sperimentati in un gioco, forse a pari merito con quello di Horizon Forbidden West.
Il mondo è disseminato di accampamenti della RDA da abbattere, clan da scoprire, segreti da trovare e montagne da scalare. Dal punto di vista del design del mondo e dell’estetica, Pandora è straordinariamente splendida: la ricreazione ambiziosa dei film da parte di Ubisoft Massive è qualcosa da ammirare: un paesaggio pericoloso e meravigliosamente alieno con fauna al neon, bestie erranti e colori vividi. Anche quando la storia, a tratti, fatica a coinvolgere il giocatore o quando anche lo stesso gameplay inizia a tendere alla ripetizione, l’incredibile mondo di gioco e la componente esplorativa riescono nell’intento di tenere a galla il prodotto.
C’è anche una sorprendente quantità di verticalità a Pandora: i giocatori sono incoraggiati a esplorare queste enormi isole galleggianti e formazioni rocciose nel cielo usando gli Ikran – volare è mozzafiato, per dir poco, data la reattività dei controlli e la precisione man mano che andremo a potenziare la nostra creatura alata. Questi momenti di “bellezza” sono ovunque in Avatar: Frontiers of Pandora e siamo costantemente travolti dalla grandiosità di momenti da “vivere”, all’interno del variegato mondo di gioco: qualcosa di così semplice come planare nei cieli o osservare una tempesta sollevare polvere, detriti e far oscillare gli alberi rimane sicuramente impresso; è una vera potenza visiva ed è facilmente il gioco più bello di Ubisoft fino ad oggi.
Un gameplay alla Ubisoft che avrebbe meritato di più
Il gameplay e la scrittura sono gli aspetti in cui, Avatar: Frontiers of Pandora, non riesce ad esprimersi al meglio.
Seguendo il tipico modello open world alla Ubisoft, con i suoi pregi e anche i suoi difetti, il titolo di Massive Games ha sicuramente molto con cui spartire con la serie Far Cry. Il gameplay e il sistema di shooting sono pressocchè identici alla già citata saga di sparatutto in prima persona – persino gli elementi di crafting e sopravvivenza, a cui viene data una grande enfasi in questo gioco, sembrano presi direttamente dagli ultimi capitoli di Far Cry.
Il gameplay costringe il giocatore a pensare in modo strategico, poiché i nemici possono abbattere la nostra salute in pochi secondi, anche a difficoltà normale. A volte, il gioco sembra spingere i giocatori a sfruttare pienamente le meccaniche stealth, anche quando le probabilità non sono chiaramente a tuo favore, visto che, a volte, la disposizione dei nemici sembra non voler facilitare le cose ai giocatori: di solito, i bersagli si radunano o si muovono con i mech a distanze molto ravvicinate tra di loro, mentre le torrette scandagliano rigorosamente i dintorni, rendendo la furtività molto difficile, soprattutto se le cose vanno male e l’IA nemica sembra concentrarsi sulla nostra posizione con una precisione senza senso.
Come già detto, il titolo pone una grande enfasi sugli elementi di sopravvivenza e di crafting, che, purtroppo, non sempre funzionano. Risorse o ingredienti preziosi possono essere raccolti mentre esploreremo la mappa di gioco, allo scopo di preparare cibo o armi, armature e potenziamenti. Gli effettivi potenziamenti che otterremo per ogni nuovo equipaggiamento sono così minuti che sono quasi irrilevanti.
La scrittura generale della narrativa non migliora le cose. Avatar: Frontiers of Pandora sommerge il giocatore di terminologia, lore e nomi nelle prime ore, rendendo difficile affezionarsi a qualcosa o qualcuno. Pochi personaggi diventano, alla fine, particolarmente memorabili, ma non ricevono mai la giusta quantità di caratterizzazione per renderli indimenticabili. La maggior parte degli NPC esiste solo per darci missioni da compiere o farci avanzare nella trama di gioco. Anche la storia centrale non è così coinvolgente come ci saremmo aspettati: tutto sembra essere collegato in modo così casuale, come se stesse spuntando una serie di caselle narrative – tutto sa di già visto e la struttura tipica “alla checklist” dei titoli Ubisoft risulta fin troppo preponderante in questa produzione, evidenziando tutti i limiti che questa software house sta affrontando da anni.
Le bellezze tecniche
Quando Avatar: Frontiers of Pandora viene a mancare nella scrittura e nei personaggi, la componente audiovisiva riesce, in parte, a sopperire a tali mancanze.
A livello tecnico, la nostra esperienza con Avatar: Frontiers of Pandora è stata abbastanza buona su PS5: ll titolo di Massive si mantiene molto bene sulle console di attuale generazione. Nonostante la presenza di una modalità Prestazioni, ci sentiamo quasi di consigliare la modalità Qualità, specialmente se dotati di schermi di ultima generazione, vista la bellezza delle immagini proposte: uscire a Pandora per la prima volta nel gioco è un momento magico reso vivo dalle immagini insensate e consigliamo davvero di viverlo con i dettagli più alti possibili.
Concludendo…
Avatar: Frontiers of Pandora è, complessivamente, un buon titolo, “incastrato” dai limiti autoimposti dalla software house che, da anni, sembra voler proporre giochi fatti e finiti con lo stampino. Nonostante una componente tecnica davvero eccellente, il gameplay – che ricorda un po’ troppo quello di Far Cry – e la scrittura carente in molti aspetti, non riescono a far decollare il titolo verso lidi qualitativi più elevati. Un vero peccato.