Mentre mi perdo tra i salti e le acrobazie di Astro Bot, mi rendo conto di quanto sia incredibile l’esperienza che sto vivendo. Ogni vibrazione del DualSense, ogni piccolo dettaglio grafico, sembra finalmente sfruttare al massimo le potenzialità di PlayStation 5 che, per una volta, non si limitano al mero hardware. Un viaggio sensoriale che, in un certo senso, mi fa dimenticare la montagna russa che è stata finora questa generazione.
Sono seduto qui, con il controller tra le mani, riflettendo su quanto sia assurdo trovarsi a parlare di un’ipotetica PlayStation 5 Pro quando la versione base non ha mai davvero preso il volo. Certo, ci sono state gemme come questa, ma la verità è che le esclusive sono state centellinate e i titoli cross-generazionali hanno tirato la coperta da entrambi i lati fino all’altro ieri.
E poi c’è il discorso dei live service. Sony sembrava pronta a puntare tutto su questa direzione, ma ora sembra che qualcosa sia andato storto. Un brusco stop, come se il sogno di creare un ecosistema di titoli multiplayer e a lungo termine sia stato messo in stand-by. Ma è davvero questo il futuro che vogliamo per PlayStation?
Facciamo un passo indietro…
Siamo nel bel mezzo della pandemia COVID-19, e Sony si prepara a lanciare la sua console di nuova generazione, la PlayStation 5, in un contesto globale senza precedenti. Nonostante le difficoltà logistiche, l’hype attorno alla console è alle stelle, e il debutto sembra promettere bene. L’hardware mostra subito un potenziale enorme, ma con il senno di poi, potremmo dire che le cartucce più potenti della console siano state sparate nei primi mesi di vita.
Uno dei titoli che meglio rappresenta questo avvio esplosivo è senza dubbio il remake di Demon’s Souls, una perla riscoperta dagli archivi di FromSoftware. Un titolo che non solo ha riportato sotto i riflettori il genere Souls-like, ma ha anche dimostrato di cosa fosse capace PlayStation 5 dal punto di vista grafico. Il Demon’s Souls di Bluepoint è stato uno showcase visivo straordinario: ogni riflesso, texture, ed effetti particellare ci ha ricordato perché stavamo aspettando con impazienza la nuova generazione.
Ironico, però, che uno dei maggiori picchi tecnici di PS5 arrivi proprio da un remake di un gioco del 2009. La magia di quel titolo ha posto le basi per la nascita della Souls-Mania, una passione che ha portato Miyazaki e il suo team a diventare veri e propri maestri del game design, culminando poi nella loro opera ultima, quel Elden Ring che ci ha lasciati a bocca aperta e di cui, nelle nostre pagine, non abbiamo mai smesso di tessere le lodi.
Ma mentre noi ci perdevamo nelle meraviglie e nella brutalità dell’Interregno, il mercato dei videogiochi stava cambiando. O almeno, il mercato della “bolla Jim Ryan”. Un futuro in cui si credeva che i live service sarebbero diventati la colonna portante del mercato videoludico, con titoli a supporto continuo destinati a prosperare e a generare profitti enormi, riempiendo le tasche di publisher e, di riflesso, di Sony stessa.
Sembrava che la direzione fosse segnata: un flusso costante di giochi multiplayer, aggiornamenti periodici e battle pass a sostituire l’idea del singolo titolo narrativo da godere in solitudine, tipologia di titolo di cui Sony ha sempre fatto un cavallo di battaglia nelle passate generazioni. Una direzione segnata anche dall’acquisizione, da parte dell’azienda giapponese, di Bungie. La Bungie che, dopo aver abbandonato la saga di Halo è diventata forse l’unica azienda in grado di sviluppare live service solidi e di qualità.
Ma l’ultimo anno e mezzo è stato, in un certo senso, il momento di svolta. La doccia gelata che, forse, serviva a Jim Ryan e a Sony per comprendere che il pubblico non era pronto – e forse non lo sarà mai – per un mondo dominato solo dai live service.
O meglio, non solo da quelli.
La doccia gelata
L’annata è stata segnata da rumorosi fallimenti, con titoli come Suicide Squad: Kill the Justice League e Skull and Bones che hanno fatto rumore più per il loro disastroso impatto sul mercato che per la qualità del gameplay. Progetti miliardari che sembravano puntare a quel modello tanto amato dai dirigenti, ma che hanno finito per inciampare su una realtà ben diversa: i giocatori chiedono ancora esperienze profonde, ben curate e possibilmente uniche. E i live service, per quanto attraenti sulla carta, spesso non riescono a mantenere questa promessa.
Un barlume di speranza è però arrivato con Helldivers 2, che ha tentato di unire l’approccio cooperativo e il modello live service a un gameplay solido e divertente. Il suo lancio è stato una bomba, capace di accendere l’interesse e conquistare il pubblico nei primi giorni. Ma anche qui, nonostante le premesse, il team si è trovato impreparato. L’incapacità di gestire aggiornamenti continui e contenuti freschi ha iniziato a logorare la base di giocatori, evidenziando quanto sia complesso mantenere vivo un ecosistema di questo tipo.
Arriviamo ai giorni nostri, più precisamente alla scorsa settimana. Il lancio di Concord, il nuovo tentativo di Sony e Firewalk Studio di entrare nel mercato dei live service, si è rivelato un disastro su scala epica. Se titoli come Suicide Squad: Kill the Justice League, Skull and Bones o il più lontano Babylon’s Fall possono essere considerati flop, il debutto di Concord sembra aver stabilito un nuovo record negativo.
Già dall’annuncio, il titolo non aveva destato entusiasmi: il trailer, che avrebbe dovuto generare hype e curiosità, si è presentato come l’ennesimo hero shooter con un character design al limite dell’anonimo. L’impressione generale era quella di un progetto senza anima, incapace di distinguersi in un mercato saturo di giochi simili, dove titoli come Overwatch o Valorant dominano già la scena con molta più personalità, per non parlare del prossimo Marvel Rivals che sembra pronto a scuotere il mercato ancor di più.
E poi arriva la fatidica data della open beta. Una possibilità gratuita di testare il gioco avrebbe potuto risvegliare l’interesse, ma i numeri non sono mai decollati. La scarsa partecipazione già suonava come un campanello d’allarme, ma nessuno poteva prevedere quanto la situazione sarebbe precipitata con il lancio ufficiale, avvenuto una settimana fa. Il giorno dell’uscita, Concord raggiunge un picco massimo di soli 697 giocatori, un numero talmente basso da far impallidire anche i titoli più criticati degli ultimi anni, come The Lord of the Rings: Gollum, considerato una delle peggiori uscite recenti.
Sul fronte della critica, il gioco non viene massacrato per difetti tecnici o meccaniche disastrose, ma piuttosto per la sua assoluta mancanza di innovazione. È un prodotto che sembra fuori tempo massimo, privo di un’identità capace di farlo emergere. Il prezzo di lancio, inoltre, è stato un altro fattore decisivo nel suo fallimento: con una concorrenza gratuita e ben più valida già disponibile sul mercato, i giocatori non hanno trovato alcun motivo per investire tempo o denaro in Concord.
Le conseguenze di questo flop sono state immediate e impietose: matchmaking che richiedono decine di minuti, giocatori bloccati nella ricerca di partite e una base attiva che è scesa rapidamente a poche decine di utenti. Di fronte a questa situazione, Firewalk Studios si è vista costretta a prendere una decisione drastica: chiudere i server del gioco appena due settimane dopo il lancio. La promessa di rimborsi ai giocatori ha messo la parola fine su un progetto nato morto, un chiaro segnale che la strategia dei live service di Sony è a un punto critico.
Il futuro di Sony
Fallimenti clamorosi come quello di Concord rappresentano momenti di svolta epocali, snodi cruciali in cui ogni azienda deve fermarsi, riflettere e rivedere le proprie strategie. Il disastro di Concord non è solo un colpo al morale di Sony, ma anche un indicatore di una crisi più ampia: quella del modello live service che, per quanto redditizio sulla carta, non riesce sempre a trovare il giusto equilibrio tra domanda e offerta. Ora, con Firewalk Studios in bilico, la domanda principale è: cosa ne sarà del gioco?
L’ipotesi di un rilancio in modalità free to play potrebbe sembrare una soluzione immediata, quasi una mossa disperata per recuperare anni di sviluppo e milioni di dollari. Tuttavia, è difficile essere ottimisti. Concord, già nella sua fase beta gratuita, non ha mai raggiunto numeri soddisfacenti. Se già allora il gioco non è riuscito a catturare l’interesse iniziale, cosa dovrebbe cambiare con una versione free to play? I giocatori sono diventati più esigenti e, con una miriade di alternative di alta qualità già disponibili, la sola gratuità non è più sufficiente a garantire il successo.
Un’altra ipotesi, forse più plausibile, è che Sony decida semplicemente di chiudere il progetto e andare avanti. L’esempio di Anthem di EA è ancora fresco nella memoria collettiva. Nonostante le promesse di un rilancio, il titolo di BioWare è stato abbandonato senza mai vedere quella seconda vita tanto ventilata. E considerando il clima economico attuale, non sarebbe sorprendente se Sony optasse per una soluzione simile, tagliando le perdite e focalizzandosi su progetti con maggiore potenziale.
Ma il fallimento di Concord potrebbe avere ripercussioni più ampie, andando a toccare altri progetti in fase di sviluppo. Il più rilevante è senza dubbio Marathon, il nuovo progetto di Bungie. Ironia della sorte, anche Bungie sembra navigare in acque tutt’altro che sicure dopo l’acquisizione da parte di Sony. I segnali sono tutt’altro che rassicuranti: licenziamenti su larga scala, con oltre duecento persone lasciate a casa, e l’abbandono di figure chiave all’interno dello studio, tra cui i director di progetti cruciali. Alcuni osservatori arrivano persino a definire “spacciato” lo studio, una diagnosi severa ma che riflette la crescente preoccupazione per il futuro di Bungie.
E così, torniamo al punto di partenza di questa triste disamina sul mercato ludico odierno. Mentre titoli come Astro Bot incarnano quella filosofia single-player che Sony sembrava aver perso di vista, non possiamo che sperare in un ritorno ai fasti di un tempo. Un tempo in cui Sony dominava con esperienze narrative profonde, giochi che non avevano bisogno di microtransazioni o componenti multiplayer per affascinare e conquistare il cuore dei giocatori. Guardando al passato recente, molte delle esperienze più memorabili che abbiamo vissuto non avevano nulla a che fare con il modello live service. Basti pensare a un titolo come Baldur’s Gate 3, che ha letteralmente spaccato il mercato e dimostrato che c’è ancora un’enorme richiesta di giochi ben costruiti, focalizzati sull’esperienza single-player.
Mentre Sony si appresta a presentare la tanto vociferata PlayStation 5 Pro, ci viene spontaneo chiederci se non sia più saggio fare un punto sulla situazione degli studi interni e sulle esclusive in produzione. Molte domande restano in sospeso: che fine ha fatto il nuovo progetto dei Santa Monica Studio, diretto da Cory Barlog? Dopo il successo di God of War Ragnarok, non abbiamo avuto notizie su cosa stiano preparando. Il futuro di Naughty Dog, dopo la cancellazione del progetto multiplayer legato a The Last of Us, è avvolto nel mistero.
Lo stesso silenzio riguarda altri studi di primo piano: Sucker Punch non ha fatto più rumore dopo Ghost of Tsushima, e Guerrilla Games sembra essersi concentrata sul post Horizon, ma non sappiamo cosa ci riservi il futuro. Media Molecule, dopo il progetto ambizioso ma di nicchia Dreams, rimane un’incognita. Anche Insomniac Games, che ha recentemente dominato con il successo di Spider-Man 2, è scomparsa dai radar dopo i leak su Wolverine. E che dire di Bend Studio, che dopo Days Gone non ha ancora rivelato il suo prossimo progetto? Bluepoint Games, maestri nei remake, sembrano essersi eclissati, e chissà quale altra perla nascosta stanno restaurando.
Concludendo…
Mentre Sony guarda al futuro con hardware più potente, tecnologie software di upscaling e supporti di memorizzazione sempre più veloci, ci chiediamo se la vera necessità non sia tornare a concentrarsi su ciò che ha sempre fatto grande questo marchio: storie indimenticabili e giochi che lasciano un segno profondo nel cuore dei giocatori. Questa è la PlayStation che tutti amiamo e che speriamo di ritrovare presto.