La saga di Dynasty Warriors affonda le sue radici nell’era PlayStation 2, quando Omega Force e Tecmo Koei diedero vita al genere “musou”, caratterizzato da combattimenti su larga scala in cui il giocatore interpreta un generale sul campo di battaglia. Il primo Dynasty Warriors era un picchiaduro in stile Soul Calibur, ma con il secondo capitolo la serie si trasformò nel capostipite di un sottogenere d’azione che ha visto negli anni un’espansione smisurata, tra titoli principali, spin-off e tie-in ambientati in universi come Ken il Guerriero, One Piece e The Legend of Zelda.
Nel corso del tempo, il genere ha mostrato evidenti segni di stagnazione, incapace di innovarsi in modo significativo. La ripetitività del gameplay, sebbene rappresenti un elemento fondante della formula musou, ha finito per soffocare l’interesse di molti giocatori, compresi noi. La nostra ultima esperienza con la saga risale a Dynasty Warriors 2, e da allora l’interesse si è affievolito di fronte alla continua reiterazione della formula senza reali rivoluzioni.

Ora, dopo oltre 25 anni, Dynasty Warriors: Origins si presenta con l’ambiziosa promessa di ridefinire il genere, introducendo elementi innovativi e cercando di riportare freschezza in una saga che da troppo tempo necessitava di un cambiamento sostanziale. L’intento di questo nuovo capitolo è chiaro: offrire un’esperienza che possa attirare sia i veterani del genere sia chi si è allontanato a causa della ripetitività.

Ma il gioco sarà riuscito nell’intento di rinnovare la formula? O si tratta dell’ennesima iterazione priva di reali innovazioni? Scopriamolo insieme nella recensione della versione PC di Dynasty Warriors: Origins.

Tutto ebbe inizio dalla Ribellione dei Turbanti Gialli…

Per comprendere davvero la premessa di Dynasty Warriors: Origins, è essenziale esplorare le radici della serie. Il franchise si basa su Il romanzo dei Tre Regni, un’opera del XIV secolo che mescola realtà storica e finzione per raccontare gli eventi della Cina del II e III secolo. Ogni capitolo della saga attinge a questa epopea, ma Origins si distingue dai suoi predecessori concentrandosi principalmente sulla fase iniziale del romanzo, permettendo così un racconto più dettagliato e focalizzato.

Il gioco si apre con la Ribellione dei Turbanti Gialli, una vera insurrezione contadina che segnò l’inizio del declino della dinastia Han. Il protagonista, un guerriero senza nome e affetto da amnesia, si unisce agli insorti per combattere un governo corrotto. Tuttavia, con il passare del tempo, i ribelli si trasformano nei nuovi oppressori, creando un ciclo infinito di potere e ingiustizia. Questo conflitto tra tirannia e rivoluzione costituisce il fulcro della narrazione. Il contesto politico turbolento e la guerra offrono uno sfondo perfetto per una storia epica, ma Origins non riesce sempre a sfruttarlo appieno. Le battaglie principali sono ben integrate nella trama e non si riducono a semplici riempitivi, ma lo sviluppo dei personaggi lascia a desiderare. La narrazione si appoggia a una visione troppo semplicistica del bene e del male, presentando personaggi piatti e privi di ambiguità: gli eroi sono impeccabili, mentre i nemici incarnano il male assoluto. Questo approccio manicheo rende il racconto prevedibile e privo di quella profondità che avrebbe potuto renderlo davvero coinvolgente.

Anche il protagonista soffre di una caratterizzazione generica. Un uomo taciturno, dai capelli scuri, armato di una grande spada e con un passato dimenticato: un cliché già visto innumerevoli volte nel genere. Il suo senso di giustizia è vago e poco convincente, privandolo di tratti distintivi che lo rendano memorabile. Gli NPC, invece, sono numerosi ma mal delineati, e i pochi dettagli sul loro background non bastano a renderli tridimensionali.
A penalizzare ulteriormente l’impatto narrativo ci sono dialoghi ripetitivi e privi di mordente. Gli eroi si lanciano in discorsi pomposi ogni pochi minuti, mentre i villain recitano frasi stereotipate che non aggiungono nulla alla tensione drammatica. Comprendiamo che il genere musou non faccia della trama il suo punto di forza, privilegiando l’azione frenetica, ma considerando l’importanza storica del periodo trattato, sarebbe stato interessante vedere una maggiore cura nella scrittura e nella caratterizzazione.

In definitiva, Dynasty Warriors: Origins offre un’ambientazione intrigante e un buon punto di partenza narrativo, ma spreca il suo potenziale con una scrittura eccessivamente schematica e personaggi poco ispirati. Se il focus rimane l’azione, allora la storia avrebbe dovuto almeno supportarla con una maggiore incisività, invece di limitarsi a un semplice accompagnamento privo di vera forza emotiva.

La rivoluzione dei musou?

Dynasty Warriors: Origins è, senza mezzi termini, un’esplosione di caos hack-and-slash. Il numero di nemici che il gioco lancia contro il giocatore è volutamente esagerato: migliaia di avversari affollano il campo di battaglia contemporaneamente, trasformando ogni missione in un massacro su vasta scala. Anche con un esercito alleato al proprio fianco, il protagonista si ritrova spesso a falciare centinaia di soldati con pochi, devastanti colpi. Eppure, nonostante la carneficina, il gioco mantiene un’estetica pulita: niente sangue, niente smembramenti, solo un’infinita scia di corpi che svaniscono nel nulla. La violenza è stilizzata, ma l’effetto è lo stesso—abbattere intere schiere di nemici con un singolo attacco offre una sensazione di potenza quasi catartica.
Accanto alle orde anonime di soldati semplici, Origins introduce ufficiali e comandanti che fungono da miniboss. La loro presenza spezza la monotonia degli scontri, ma può anche inceppare il ritmo del gioco. Dynasty Warriors è pensato per il combattimento su larga scala, eppure, di tanto in tanto, si finisce intrappolati in duelli prolungati contro nemici più resistenti, che rallentano la frenesia dell’azione. Un compromesso necessario, forse, ma che rischia di far perdere slancio alle battaglie più intense.

Le missioni si sviluppano su mappe estese con obiettivi strategici distribuiti su più fronti. A differenza di altri titoli del genere, però, Origins non richiede necessariamente la conquista di tutti i punti chiave: spesso, l’obiettivo principale è eliminare un determinato nemico. Questo di per sé non sarebbe un problema, se non fosse che il gioco impone anche condizioni di sconfitta frustranti. Se un NPC alleato viene abbattuto, la battaglia è persa, indipendentemente dalla performance del giocatore. Questo significa dover monitorare costantemente la posizione e la salute dei propri compagni, che purtroppo tendono a lanciarsi incautamente nel cuore della mischia senza alcuna logica. Su mappe così vaste e in un’azione tanto caotica, è fin troppo facile separarsi dagli alleati e vederli cadere lontano dal proprio raggio d’azione, portando a sconfitte che sembrano più il risultato di un’IA deficitaria che di un reale errore strategico.

Al di fuori del combattimento, Origins offre un sistema di progressione solido ma lineare. L’esperienza accumulata consente di sbloccare nuove abilità, mentre il loot system permette di raccogliere, vendere e migliorare un’ampia gamma di armi, ciascuna con il proprio set di mosse e un livello di maestria che cresce con l’uso. Sebbene la personalizzazione non sia particolarmente profonda, la possibilità di sperimentare con diverse tipologie di armi aggiunge una leggera varietà al gameplay.

Uno degli elementi più spettacolari del gioco è l’uso della cavalleria. Dopo poche ore, si ottiene la possibilità di evocare un destriero e lanciarsi in carica contro le linee nemiche, travolgendo interi plotoni come un’onda d’urto inarrestabile. Alcune missioni includono eventi speciali che consentono di guidare una carica insieme agli alleati, regalando momenti di pura epicità degni delle migliori battaglie cinematografiche. Questo sistema aggiunge uno strato tattico agli scontri, oltre a enfatizzare ulteriormente il senso di potere che il gioco vuole trasmettere.

L’unico vero difetto è la mappatura dei comandi: la cavalcatura viene evocata premendo lo stick analogico sinistro, lo stesso tasto solitamente riservato alla corsa in molti altri giochi. Il risultato? Se si gioca con un controller — scelta altamente consigliata rispetto a mouse e tastiera — capita spesso di smontare involontariamente nel bel mezzo della battaglia. Un dettaglio fastidioso, certo, ma non abbastanza da rovinare l’esperienza. Tuttavia, per chi è abituato agli sparatutto in prima persona, l’adattamento potrebbe richiedere un po’ di tempo.

Da PC a Steam Deck

Sul fronte tecnico, Dynasty Warriors: Origins si difende bene, pur senza fare miracoli. Gli scenari e le ambientazioni offrono un colpo d’occhio gradevole, ma i modelli poligonali dei personaggi non segnano un vero passo avanti rispetto ai più recenti capitoli della saga. Lo stile artistico punta su volti stilizzati e marcati piuttosto che su un realismo spinto – una scelta sensata, considerando la mole di personaggi che il gioco deve gestire contemporaneamente. I miglioramenti più evidenti riguardano l’illuminazione e gli effetti particellari, che donano maggiore impatto visivo alle battaglie. Nel complesso, Dynasty Warriors: Origins è piacevole da vedere, ma di certo non un titolo capace di mettere in difficoltà una RTX 3080 Ti.

Uno degli elementi più riusciti è il design delle truppe in battaglia. Con migliaia di soldati su schermo, il rischio di perdere il senso della situazione è sempre dietro l’angolo, ma il gioco evita il caos assegnando a ogni esercito colori ben distinti. Questo accorgimento, seppur poco fedele dal punto di vista storico, rende l’azione molto più leggibile e aiuta a individuare alleati e nemici a colpo d’occhio. D’altronde, prima dell’epoca delle armi da fuoco, l’uniformità visiva era già una strategia essenziale per distinguere le proprie forze nel mezzo della mischia. Anche se Dynasty Warriors: Origins non prevede il fuoco amico – o, per meglio dire, il “fendente amico” – questa soluzione migliora sensibilmente la chiarezza dell’azione.

Abbiamo testato il gioco anche su Steam Deck, dove risulta “giocabile” secondo la valutazione ufficiale. L’esperienza si è rivelata sorprendentemente fluida, con un frame rate stabile attorno ai 40 FPS, garantendo sessioni di gioco più che godibili anche in mobilità.

Concludendo…

Dynasty Warriors: Origins è un titolo costruito per concentrarsi su ciò che il franchise sa fare meglio: battaglie spettacolari, centinaia di nemici abbattuti in pochi colpi e un’azione frenetica che trasforma ogni missione in un’orgia di devastazione coreografata. Il combat system è immediato e soddisfacente, pur senza introdurre rivoluzioni rispetto ai capitoli precedenti, mentre la gestione delle condizioni di sconfitta legate agli alleati gestiti dall’IA può generare momenti di frustrazione. Sul piano tecnico, il gioco si presenta solido ma senza ambizioni grafiche particolarmente avanzate, con miglioramenti che si concentrano su illuminazione ed effetti particellari piuttosto che su una vera evoluzione visiva.

In definitiva, un capitolo che saprà soddisfare i fan della serie e chiunque cerchi un’esperienza hack-and-slash pura e spettacolare, senza troppe complicazioni. Non è un titolo che ridefinisce il genere, né quello che conquisterà nuovi giocatori scettici sul brand, ma è senza dubbio un ritorno confortante per chi ha sempre apprezzato il caos controllato delle grandi battaglie firmate Dynasty Warriors.

Configurazione di prova:
Monitor: AOC CU34G2X/BK
Scheda video: GeForce RTX 3080 Ti
Processore: Ryzen 7 5800X
RAM: 32 GB DDR4

CI PIACE
  • Comparto tecnico ottimizzato a dovere
  • Gameplay rifinito che riesce a dare nuova verve al genere musou
  • La quantità di nemici a schermo è sorprendente
  • Il fascino della Cina Imperiale del primo secolo
NON CI PIACE
  • Non è lo stravolgimento che ci aspettavamo alla formula di gameplay classica
  • Nonostante l’ottimizzazione, tecnicamente risulta abbastanza datato
  • Il numero elevato di nemici a schermo accentua eccessivamente il caos degli scontri
Conclusioni

Dynasty Warriors: Origins punta dritto al cuore dell’esperienza musou, esaltando gli elementi che hanno reso il franchise iconico. Il combat system resta immediato e appagante, senza però introdurre innovazioni sostanziali, mentre la gestione degli alleati controllati dall’IA può talvolta risultare frustrante a causa delle condizioni di sconfitta. Sul fronte tecnico, il titolo si dimostra solido ma privo di slanci innovativi, con miglioramenti focalizzati su illuminazione ed effetti particellari piuttosto che su un reale salto generazionale. In definitiva, un ritorno rassicurante per i fan della saga e per chi cerca un hack-and-slash puro e spettacolare, senza fronzoli: non rivoluziona il genere né conquisterà i più scettici, ma offre esattamente ciò che gli appassionati si aspettano, ovvero il caos epico e controllato delle grandi battaglie musou.

7.5Cyberludus.com

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Nerd purosangue classe 1992, si avvicina al mondo dei videogiochi grazie al SEGA Master System di sua madre. Destreggiandosi tra Alex Kidd e Sonic the Hedgehog, comincia a farsi una importante cultura videoludica a base di platform e beat ‘em up. Fedele seguace della “master race”, consuma giochi di ruolo dalla mattina alla sera, anche se la sua saga preferita rimane Grand Theft Auto degli inarrivabili Rockstar Games, che fin dal primo capitolo lo ha aiutato a diventare la brutta persona che imparerete a conoscere.

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