La delusione, arrivati al termine dei circa quaranta minuti dello State of Play dedicato a PlayStation 5, è tanta. Un ulteriore sintomo che Sony sta sbagliando molto a livello comunicativo, continuando una scia negativa iniziata probabilmente intorno al lancio della console, oltre quattro anni fa. Lo stato di Sony in questo periodo è ben noto: non ci piace accanirci in maniera così pesante contro l’azienda, l’abbiamo già fatto in passato post annuncio di PS5 Pro e sulla situazione Concord, ma sembra che Sony stia inanellando una serie di scelte sbagliate una dopo l’altra.

Solo poche settimane fa abbiamo appreso della cancellazione di vari progetti live service, tra cui quello in sviluppo presso Bend Studios (autori dell’infausto Days Gone, di cui vi parleremo nel corso di questo editoriale) e l’apparente live service di God of War in sviluppo presso Bluepoint. La strategia interamente dedicata ai live service, dopo il disastro di Concord, ha apparentemente risvegliato qualcosa tra le file dirigenziali di Sony che, nel post Jim Ryan, sta cercando di rimediare a questa politica scellerata live-service-centrica.

Il problema di fondo è che Sony, con l’uscita di scena di Shawn Layden e l’arrivo di Jim Ryan, ha abbandonato progressivamente la filosofia che aveva reso PlayStation 4 un successo incredibile, spostando il focus da produzioni single-player di alta qualità a un modello che strizza l’occhio a un mercato più volatile e imprevedibile. Questo cambio di rotta si è rivelato un boomerang: mentre il pubblico di riferimento continua a chiedere esperienze narrative forti e coinvolgenti, Sony ha spinto su un settore che richiede investimenti enormi e un supporto costante nel tempo, senza però avere una vera identità in questo campo.

Lo State of Play appena trasmesso non ha fatto altro che rafforzare la sensazione che Sony stia navigando a vista. Nessuna grande sorpresa, nessuna IP first-party in grado di galvanizzare il pubblico (se non per l’annuncio della nuova IP di Housemarque, Saros, in arrivo nel 2026), solo aggiornamenti su titoli già noti e qualche contenuto aggiuntivo. Anche l’annuncio di titoli di terze parti, che in passato rappresentava un punto di forza degli eventi Sony, è apparso fiacco e privo di veri momenti memorabili.

L’impressione generale è che Sony abbia smarrito la propria direzione, e che la sua comunicazione sia più reattiva che proattiva. In un mercato in cui la concorrenza sta giocando le proprie carte con strategie chiare e ben definite, PlayStation sembra rimanere ferma su un modello che non convince più, cercando affannosamente di correggere il tiro senza però proporre un vero piano di rilancio.

Days Gone Remastered – L’ennesima beffa verso l’utenza…e Bend Studio

Non vogliamo fare un listone della spesa di tutti i titoli che sono stati mostrati ieri sera alla conferenza, perché è vero che i titoli nello State of Play non sono mancati, il problema è quali titoli sono stati presentati. Il vero emblema di questa strategia comunicativa completamente errata da parte di Sony è probabilmente rappresentato da uno degli annunci di punta di questo State of Play: la remastered di Days Gone.

Ecco, qui ci dobbiamo fermare un attimo ad analizzare quest’annuncio. Stiamo parlando dell’ennesima remastered che arriva nel giro di poco tempo a fare quasi da tappabuchi in un inizio 2025 in cui Sony, con la sua PlayStation 5, è praticamente “missing in action”, in termini di esclusive. Ma l’arrivo di una remastered di un titolo come Days Gone fa sorridere, e non poco. Il titolo, lanciato originariamente su PlayStation 4 nel 2019, non è certo un capolavoro, ma rimane un action in terza persona solido, con alcuni spunti narrativi interessanti. Nonostante questo, Sony lo ha praticamente bocciato, ritenendolo non all’altezza delle aspettative, bloccando più volte l’idea di un seguito e arrivando a scontri interni con Bend Studio. Questo ha portato alla fuga di molte delle menti creative più importanti del team, lasciando lo studio in balia delle decisioni aziendali e costringendolo a lavorare su un live service poi cancellato, come già accennato.

Days Gone Remastered ha il sapore di una beffa per Bend Studio, lo stesso team a cui Sony ha più volte imputato di non aver realizzato un gioco all’altezza delle sue aspettative, relegandolo a un ruolo marginale nel panorama delle esclusive PlayStation.

Ciò che lascia interdetti non è solo la decisione di riproporre Days Gone sotto una nuova veste, ma il modo in cui questa operazione viene inquadrata. Bend Studio, anziché essere messo al lavoro su un sequel che avrebbe potuto migliorare le basi già gettate con il primo capitolo, si ritrova relegato a un’operazione commerciale che sa tanto di ripiego. Sony non ha creduto nel titolo quando avrebbe dovuto, e ora ne sfrutta il nome per riempire un vuoto nel proprio calendario di uscite, in un periodo in cui le vere esclusive latitano.

Diciamocelo chiaramente: a Days Gone sarebbe bastata una semplice patch migliorativa, magari gratuita per chi già possiede il gioco, piuttosto che un’etichetta “remastered” pensata esclusivamente per rimonetizzare su un prodotto che la stessa Sony ha contribuito a soffocare. È una mossa che dimostra ancora una volta come l’azienda, in questa fase, sia più interessata a rincorrere soluzioni di corto respiro piuttosto che a costruire un futuro solido per il proprio parco titoli.

I grandi assenti

Ma ciò che sorprende maggiormente di questo State of Play è l’assenza delle grandi esclusive che, almeno sulla carta, dovrebbero arrivare quest’anno. Parliamo del seguito di Ghost of Tsushima, ovvero il Ghost of Yotei relativamente fresco di annuncio, e di Death Stranding 2: On the Beach, la nuova opera di Hideo Kojima. Quest’ultimo, in particolare, rappresenta un titolo che ci saremmo aspettati di vedere trattato con più attenzione in un evento di questa portata, non solo per il prestigio del suo autore, ma anche per l’impatto che il primo capitolo ha avuto sulla scena videoludica. L’assenza di questi due giochi, unita alla scarsa comunicazione sulle produzioni first-party, lascia trasparire un’incertezza preoccupante nella gestione della lineup di PlayStation 5.

A questo si aggiunge il silenzio assordante dei team interni di PlayStation Studios. Il tanto atteso Wolverine di Insomniac è sparito dai radar dopo i leak dello scorso anno, con il team che, oltre a dover affrontare problematiche legate alla sicurezza, sembra essere finito in un cono d’ombra mediatico. Stesso discorso per la nuova IP di Santa Monica Studio, capitanata da Cory Barlog, della quale non si sa praticamente nulla, alimentando il timore che sia ancora lontanissima da una presentazione ufficiale.

Death Stranding 2, uno dei grandi assenti di questo State of Play, avrebbe tratto grande beneficio da questa vetrina per un approfondito deep dive, offrendo ai giocatori uno sguardo più dettagliato sul progetto di Kojima.

Questa crescente chiusura comunicativa evidenzia una Sony sempre più distante dalla propria community, quasi disinteressata al dialogo con i giocatori che hanno contribuito a renderla il colosso che è oggi. Un atteggiamento che, anziché trasmettere una visione chiara e ambiziosa per il futuro, la fa apparire come un’azienda che si limita a reagire alle tendenze di mercato, senza una direzione realmente definita. A complicare ulteriormente il quadro, il ridimensionamento dei piani sui live service e l’assenza di una strategia solida per il futuro di PS5 alimentano la sensazione che il brand PlayStation stia attraversando una fase di stallo creativo e gestionale. Eppure, nonostante questa percezione, PS5 continua a macinare vendite a ritmi vertiginosi, consolidando il dominio di Sony nel settore. Questo successo, però, non sembra essere interamente merito della compagnia: una parte del vantaggio competitivo è infatti attribuibile alla concorrenza – o meglio, alla trasformazione di Xbox, che da competitor diretto sembra sempre più orientato a un ruolo da publisher, con una strategia che punta a distribuire i propri titoli su più piattaforme anziché concentrarsi sul mercato hardware. Se da un lato questa visione porta valore al Game Pass con titoli promettenti come Avowed e Indiana Jones, dall’altro lascia campo libero a Sony, che si trova in una posizione di monopolio quasi incontestato, libera di dettare regole e politiche senza troppi timori. Il rischio è che questa situazione porti a un mercato sempre più squilibrato, dove l’assenza di una vera competizione lasci Sony priva di incentivi per “aggredire” il mercato software.

Forse l’unico fattore in grado di scuotere il settore potrebbe essere Nintendo, con l’arrivo di Switch 2. Se la nuova console riuscirà a ridefinire le regole del gioco con un’idea forte e una proposta che catturi il pubblico, potrebbe rimescolare le carte e restituire un po’ di vitalità a un mercato che, almeno dal nostro punto di vista, sembra sempre più stagnante e prevedibile.

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